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"Nota introduttiva" al testo

 

"Un segreto svelato"


I brani che vengono riportati di seguito sono tratti dal testo (riservatissimo!) "Orientamenti alle equipes dei catechisti per la fase di conversione" e precisamente nella seconda parte della catechesi sull'EUCARISTIA (da pag. 315 a pag. 335 bis).

Per comprendere meglio i capoversi citati e le relative note riportiamo di seguito la "NOTA INTRODUTTIVA" al testo "UN SEGRETO SVELATO" e, al termine, la nota conclusiva del testo stesso.

 

Nota introduttiva


Il Movimento neocatecumenale, sorto in Spagna nel 1964 ad opera di Kiko Arguello, ha trovato in Italia, come nel resto del mondo, un'accoglienza di segno opposto: diocesi e parrocchie dove è accolto come un dono di Dio, altre, invece, dove è considerato un pericolo per la Chiesa, alla pari dei "Testimoni di Geova".

I favorevoli portano a sostegno della loro adesione alcune motivazioni come: le foto di Kiko con il Papa e le parole elogiative del movimento pronunciate da Paolo VI e Giovanni Paolo II, in occasione di udienze; la diffusione ed accoglienza in numerose parrocchie del mondo intero; il riavvicinamento alla fede di molti che ne erano lontani; l'attività missionaria dei loro "itineranti"; i Seminari sorti ad opera di Kiko e che forniscono alla Chiesa vocazioni sacerdotali provenienti da tutto il mondo; la lettera del Papa del 30 agosto 1990 a S.E. Mons. Cordes!

Gli oppositori mettono in risalto, invece, alcuni aspetti negativi come: l'assenza prolungata (che può durare oltre 20 anni) dei neocatecumenali dalla vita della Parrocchia in cui sorgono; l'instaurazione, in queste, di una struttura che si presenta come parallela a quella ufficiale della Chiesa; l'emarginazione statutaria dei Sacerdoti o Parroci aderenti al movimento ridotti a semplici amministratori dell'Eucaristia e della Penitenza; l'obbedienza che questi devono ai catechisti del gruppo, ritenuti i veri ed esclusivi distributori della verità e dei carismi; l'eliminazione di tutti gli altri movimenti ecclesiali esistenti nelle Parrocchie; la trasformazione inesorabile delle medesime in una struttura dove ha diritto di vita soltanto il Movimento ed i suoi aderenti; il sorgere di una liturgia contraria alle disposizioni date in materia dall'autorità competente della Chiesa; certe confessioni pubbliche di peccati gravi; l'imposizione di princìpi, che si dicono derivanti dal Vangelo, che distruggono o separano le famiglie anche sul piano economico, e specialmente la dottrina da essi professata che in molti punti è in contrasto con quella insegnata dalla Chiesa.

Un'esperienza diretta della vita del movimento ha portato a riconoscere, dove più dove meno, l'esistenza dei motivi sia favorevoli che contrari, più sopra riportati. Ma ciò non era sufficiente, a nostro parere, per formulare un giudizio più approfondito. Per questo un gruppo di sacerdoti e di laici, è riuscito ad arrivare, dopo anni di ricerca, a ciò che è considerato la fonte, la base dottrinale del movimento: il testo, cioè, che raccoglie la conversazioni avute da Kiko e Carmen, ai catechisti di Madrid nel 1972 e edito nel 1982 in Italia. Questo testo è considerato, a testimonianza degli stessi catechisti, il principale ed ufficiale documento che serve per la formazione degli aderenti al movimento neocatecumenale.

L'esame accurato di questo documento, che risulta custodito con la massima segretezza, e che viene fatto conoscere per intero solo a pochissime persone mentre è nascosto alla quasi totalità dei Vescovi e dei sacerdoti, ha permesso di concludere che il comportamento dei neocatecumenali e quanto essi dicevano o facevano nelle varie comunità, non era il frutto delle esagerazioni di qualche soggetto non sufficientemente catechizzato, ma proveniva dai princìpi contenuti nel testo stesso che, dopo una lunga e martellante catechesi, diventavano convinzioni profonde tanto da determinare le scelte e la vita di tutti gli aderenti.

L'esame inoltre ha rivelato che, al di là di pagine valide e certamente gradite, vi sono insegnamenti che, sul piano dogmatico, sono molto difformi e talvolta completamente in opposizione all'insegnamento della fede cattolica, impartito dalla Chiesa.

Dopo questa scoperta, i ricercatori hanno inteso come preciso dovere di cristiani e di sacerdoti pubblicare i risultati della loro fatica a vantaggio degli stessi fratelli neocatecumenali, tra i quali essi annoverano tanti amici e fratelli di fede. Nel frattempo facevano presente ai Vescovi italiani ed ai più alti organi della Chiesa, le loro perplessità.

Dopo tanti anni di attesa e richieste di interventi e chiarificazioni rimaste sempre senza riscontro, mentre auspicano dalla Chiesa una risposta che sarà accolta con gratitudine e docilità, è sembrato doveroso rivolgere a quanti, dentro e fuori il Movimento, desiderano conoscere la verità, il presente lavoro.

In questo riporteremo i punti principali del testo dattiloscritto delle conferenze di Kiko e di Carmen dal titolo: "orientamenti alle equipes di catechisti per la fase di conversione. Appunti presi dai nastri degli incontri avuti da Kiko e Carmen per orientare le èquipes di catechisti di Madrid nel febbraio del 1972. La pubblicazione è stata curata dal Centro Neocatecumenale "Servo di Jahvé" in San Salvatore, Piazza San Salvatore in Campo - 00186 Roma - Tel.: 6541589 - Marzo 1982", accompagnandoli da un nostro commento.

I fautori del movimento che inizialmente avevano negato l'esistenza di questo testo, non potendo più persistere nella negazione di ciò che moltissimi ormai conoscevano, ci hanno accusato di fare "estrapolazioni" non corrispondenti al vero pensiero degli autori. Oltre tutto, essi affermavano, quel testo è frutto di una raccolta delle catechesi fatta da alcuni membri del movimento. Sono perciò un semplice "canovaccio, una traccia", non i testi originali di Kiko.

La nostra pubblicazione ha lo scopo di rompere la convinzione, radicatissima tra gli aderenti al "movimento", della "sacralità, impeccabilità e intangibilità" di questo testo, mostrando loro come, sotto l’apparenza di frasi semplici e grondanti entusiasmo, si nascondano errori contro la fede della Chiesa. Di questi errori e della loro confutazione, si fanno soltanto dei brevi cenni, rimandando, per una trattazione più completa, ai testi specifici. Si dice che il testo di Kiko riporta soltanto alcune idee delle sue catechesi.

A parte che anche i titoli delle 95 tesi affisse nel 1517 da Lutero alla porta della Cattedrale di Wittemberg erano semplici proposizioni, da cui però incominciò lo scisma protestante, il fatto che questo "canovaccio" costituisce ancora la base delle catechesi impartite in tutte le comunità, ci ha indotto a ritenere che le idee contenute nel testo corrispondevano in pieno al pensiero degli autori.

Né Kiko né Carmen hanno mai smentito quanto veniva loro attribuito.

A conferma del rispetto che i N.C. hanno verso le catechesi di Kiko, si può addurre quanto ci hanno detto alcuni dirigenti del movimento: "I testi di Kiko non si toccano".

Con questo lavoro vogliamo finalmente rompere il muro di mitica segretezza costruito intorno alle catechesi kikiane.

Non c'è alcuna animosità all'origine del nostro impegno. Siamo stati mossi da una esigenza di chiarezza su quanto riguarda la fede cattolica che professiamo ed amiamo, come pure dalle richieste di tanti fedeli desiderosi di sapere se la fede che avevano ricevuto dalla Chiesa, doveva essere abbandonata per adeguarla a quella impartita in questo testo. Con ciò non intendiamo affermare che tutta la catechesi di Kiko sia da rifiutare. Dopo un esame lungo, attento e sereno riteniamo che, pur essendovi delle catechesi valide, vivaci, attraenti, tuttavia in molti punti esse non corrispondono all'insegnamento della Chiesa. Su questi punti negativi si è soffermata la nostra analisi.

L’ultimo discorso tenuto dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 24 gennaio 1997 agli aderenti alle comunità neocatecumenali indica che anche la più alta autorità della Chiesa segue con particolare vigilanza il Movimento. In attesa che venga completata la stesura di uno Statuto - condizione indispensabile per ottenere, come promette il Santo Padre, il formale riconoscimento giuridico da parte della Chiesa - questo nostro modesto ed umile lavoro intende porgere, senza alcuna presunzione, un aiuto a quanti, dentro e fuori il Cammino, lavoreranno a questo scopo.

A pagina 364 del suo testo, Kiko scrive: "Dì la verità al tuo fratello perché lo ami e non perché lo odi". Con questo spirito è stato scritto e deve essere letto il presente lavoro.

 

L'autore

Seconda parte della catechesi sull'EUCARISTIA (da pag. 315 a pag. 335 bis)

Pag. 315 (1° capoverso)

"Immaginate quello che fu nella Chiesa primitiva l'Eucaristia, questa manifestazione di Cristo risorto, questo Spirito manifestato agli uomini e comunicato che li fa partecipare dell'opera di Gesù Cristo risuscitato dai morti. Immaginate quello che fu l'esplosione delle prime comunità cristiane nell'Eucarestia."

Nota: Il C.C.C. (n° 1323) ci ricorda che Gesù nell'ultima cena ha istituito il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il "sacrificio della croce", e per affidare così alla Chiesa il memoriale della sua morte e resurrezione''. Per la Carmen l'Eucarestia è solo "la manifestazione di Cristo Risorto"!

Pag. 315 (5° capoverso)

"Quello che voglio spiegare ora a volo d'uccello è come la Chiesa primitiva vive l'Eucaristia e come nel corso dei secoli è stata spezzettata e ricoperta, rivestita fino al punto che noi non vedevamo nella nostra messa da nessuna parte la resurrezione di Gesù Cristo."

Nota: Ritornano insistenti le affermazioni per le quali, secondo i N.C., la Messa è memoriale solo della Resurrezione di Cristo mentre, secondo la dottrina cattolica, essa è memoriale di tutto il Mistero Pasquale, che comprende Passione, Morte e Resurrezione del Signore.

Pag. 317 (3° capoverso)

"... per i cristiani il sacramento autentico istituito ed inaugurato da Gesù Cristo come suo memoriale è la notte pasquale e come prolungamento e partecipazione di questa notte: la domenica."

Nota: Il C.C.C. al n° 1323 ricorda che Gesù istituì il sacrificio eucaristico "la notte in cui veniva tradito". L’espressione è chiarissima: essa non dice che "anche la notte (come qui si afferma) è diventata il sacramento autentico istituito e inaugurato da Gesù Cristo, ma indica soltanto che questa istituzione avvenne in una certa notte.

È solo una specificazione di tempo! Ma la Carmen e Kiko queste cose non le comprendono!

Kiko sembra profondamente condizionato dal momento storico in cui l’Eucaristia è stata istituita da Gesù: "la notte in cui fu tradito". Tanto da far entrare la "notte" nell’elemento costitutivo del Sacramento. Ma la Chiesa apostolica non si è mai intesa vincolata a celebrare l’Eucaristia di notte, pena la sua invalidità.

Pag. 317 (5° e 6° capoverso)

" ... Non si concepisce in alcun modo un rito individuale. Gli ebrei non possono far Pasqua se non sono almeno in 11 come gruppo familiare. Perché il sacramento non è solo il pane e il vino ma anche l'assemblea; la Chiesa intera che proclama l'eucaristia. Non ci può essere eucaristia senza l'assemblea che la proclama. ... "

" Non c'è Eucaristia senza assemblea. E' un'assemblea intera quella che celebra la festa e l'Eucaristia; perché l'Eucaristia è l'esultazione dell'assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa comunione. E' da questa assemblea che sgorga l'Eucaristia."

Nota: Un altro condizionamento nel valore del Sacramento dell’Eucaristia, Kiko lo vede nella presenza dell’assemblea. Se per il valore del Sacramento fosse indispensabile la presenza dell’assemblea, si potrebbe incominciare a chiedere a Kiko: qual è il numero di persone necessario perché essa venga costituita? Di più o di meno del numero fissato dei partecipanti alla pasqua ebraica?

Dagli Atti sappiamo che le comunità cristiane inizialmente erano composte da pochissime persone. Eppure anche fra di loro, senza che il numero costituisse il problema, veniva celebrata l’Eucaristia (C.C.C. n° 1342 e 1343).

Gli autori di questa catechesi sembra non conoscono non solo la teologia sacramentaria, ma neppure gli altri documenti in cui l’argomento Eucaristia-Sacramento viene trattata dal magistero della Chiesa.

Ora, secondo i Teologi (cfr. C.C.C. n° 1337, 1340, 1341, 1363 e 1364) la Messa non è altro che "il Sacramento del Sacrificio cruento della croce".

Quello che nella Messa si ripete (1362) non riguarda il sacrificio in sé, ma solo la sua "celebrazione liturgica" o "il rito", il fatto esterno, liturgico, cultuale in cui la validità non dipende dal tempo e dall’ora in cui è celebrato, ma dalla presenza degli elementi costitutivi del Sacramento: materia, forma e ministro.

I fedeli hanno il dovere di partecipazione all’azione liturgica (cfr. C.C.C. n° 1368 e 1369) durante la quale partecipano alla Passione espiatrice-redentrice con la Chiesa e in essa e per essa si uniscono alla perenne celebrazione di Cristo Capo (Zoffoli, l.c.).

Questa partecipazione non comporta nei "laici" l’esercizio del Sacerdozio ministeriale, ma solo di quello comune ad ogni battezzato come membro del Corpo mistico di Cristo; mentre i laici si rivolgono a Dio per mezzo della mediazione del Capo del Corpo mistico, i "chierici" (Vescovo - presbiteri) essendo partecipi della medesima dignità del Capo, accedono a Lui immediatamente, come il Cristo che essi rappresentano (Vat. II, L.G. 10; C.C.C. n° 1348, 1368 e 1369).

La Messa è dunque valida anche se celebrata senza l’assistenza dei fedeli (C.C.C. n° 1369, 1410 e 1411).

È assolutamente certo, contro le aberrazioni protestanti del neo-modernismo, pre e post conciliare, fondate pretestuosamente sull’indole pubblica, sociale del Sacrificio Eucaristico. Questo è celebrato da Cristo, unico vero mediatore presso il Padre, che, avendo istituito la liturgia sacrificale e il sacerdozio gerarchico, si serve dei ministeri del culto operanti per sua virtù e per suo nome; perché tutti possano godere i frutti della Passione redentrice.

Il Sacerdote, dunque, non celebra in nome del popolo quasi che questo gliene conferisca il potere; che, al contrario, gli è comunicato direttamente dal Cristo per cui solo rappresentando il Cristo, rappresenta anche il popolo; vale a dire, solo svolgendo le funzioni del Capo, soddisfa alle esigenze delle sue membra.

Perciò il ministro, impersonando il Mediatore universale, non celebra mai una messa privata e, peggio, non valida.

Lo afferma chiaramente Pio XII nella Mediator Dei: "Ogni volta che il Sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale in quanto l’offerente agisce a nome di Cristo e dei cristiani dei quali il Divin Redentore è Capo, e l’offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti.

E ciò si verifica certamente sia che vi assistono i fedeli ... sia che non vi assistano, non essendo in nessun modo richiesto che il popolo ratifichi ciò che fa il Suo ministro" (iv. n° 79).

A questi insegnamenti corrispondono le norme del C.J.C. che nel canone 902 afferma che i sacerdoti possono celebrare la S. Messa in modo individuale. E più chiaramente nel canone 904 recita: "memori che nel mistero del Sacrificio eucaristico viene esercitata ininterrottamente l’opera della redenzione, i sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è sempre un atto di Cristo e della Chiesa, nel quale i sacerdoti adempiono il loro principale compito".

Questa norma rimane valida, anche se, per motivi pastorali, il C.J.C. al canone 906 dice: "Il Sacerdote non celebri (= esortativo!) il sacrificio eucaristico senza la partecipazione di almeno qualche fedele, se non per giusta e ragionevole causa".

Il Vat. II, nella P.O. n° 13, ripete le stesse cose..: "Nella loro qualità di ministri delle cose sacre e soprattutto nel Sacrificio della Messa, i Presbiteri agiscono in modo speciale a nome di Cristo".

La celebrazione quotidiana (della Messa) viene raccomandata perché "è sempre un atto di Cristo e della sua Chiesa anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli".

Lo stesso insegnamento aveva dato il Papa Paolo VI nell’enciclica "Misterium Fidei" del 3 settembre 1964: "Giacché ogni Messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, la quale nel sacrificio che offre, ha imparato ad offrire se medesima come sacrificio universale, applicando per la salute del mondo intero l’unica e infinita virtù redentrice del Sacrificio della Croce" (Cfr. A.A.S. 57,1965 pag. 761 e 762; inoltre: Vat. II, De Sacra Liturgia, 4-12-1963, n° 26, 27; A.A.S. 56,1964 pag. 107; C.C.C. n° 1548, 1552, 1553 e 1566).

"La necessità della presenza dei fedeli per celebrare l’Eucaristia si fonda sulla teoria della transignificazione e della transfinalizzazione per la quale tutta la comunità partecipa alla creazione del senso nuovo che il pane e il vino assumono nell’Eucaristia (cfr. F. Xavier Durrwell, L’Eucaristia, pag. 20 seg.). Secondo i seguaci di questa teoria (e Kiko sembra essere uno di questi) la presenza dei fedeli diventa necessaria perché i gesti d’amore (il dono del pane e del vino come segno dell’amore assoluto di Cristo per noi) realizzano la presenza soltanto quando il dono e l’accoglienza sono reciproci. Per questo è necessaria la cooperazione di tutti.

Ma in questa teoria non si ammette il realismo della presenza perché il pane e il vino sono trasformati soltanto nell’intenzione del donatore e di colui che riceve il dono: il pane e il vino restano in sé immutati.

Questa spiegazione ignora, perciò, anche l’escatologia. Sembra essere un nuovo docetismo, che nega la verità dell’Incarnazione.

Si va così contro la fede della Chiesa che ammette la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia (C.C.C. n° 1373, 1374, 1375, 1376 e 1377).

Pag. 319 (5° e 6° capoverso)

"Spezzando il pane entriamo nella morte, bevendo alla coppa facciamo una alleanza nel suo sangue e facciamo Pasqua con Gesù Cristo: davanti a questa realizzazione proclamiamo: "VIENI SIGNORE GESU’! REALIZZA LA TUA PASQUA TRA GLI UOMINI!"

"Un'Eucaristia primitiva che è di una così grande semplicità, può essere anche di una grande varietà. ... "

Nota: Questa è la concezione ebraica della Pasqua. La Comunione del cristiano al pane e al vino consacrato, è una comunione alla Passione e Morte di Cristo.

Infatti Gesù con la parola "Corpo" e con l'altra "Sangue" intendeva donarci non una componente del suo essere umano (come noi pensiamo secondo la cultura greca che abbiamo ereditato), ma quello che queste due parole significavano nel linguaggio biblico, e cioè, tutto il suo essere, in quanto vive la sua vita nel corpo; cioè tutta la sua vita.

A questa aggiunge la parola: "Sangue" che indica, nella Bibbia, l'evento della morte, perché il versamento del sangue è il segno plastico della morte.

Quindi l'Eucaristia è il mistero di Gesù che dona a noi la sua vita nel momento in cui la offre al Padre per la Sua gloria e per la salvezza del mondo. I fedeli che, secondo il suo comando, mangiano il pane e bevono il Sangue comunicano perciò (1Cor 10,5) al mistero del suo sacrificio redentore. Per ottenere questa comunione, non è assolutamente necessario ricevere entrambe le specie, poiché ognuna di esse è tutto intero il Signore Gesù; anche se due specie, come segni, hanno un significato più evidente.

La Chiesa ha sempre creduto così!

Ciò è dimostrato dalla prassi orientale di dare ai neonati battezzati l'Eucaristia sotto la specie del vino: come pure dell'uso della comunione sotto le sole specie del pane, che inizia nel secolo XII. Il Concilio di Trento (sess. XXI) dichiarerà che la Comunione sotto le due specie "non è di diritto divino per coloro che non celebrano la S. Messa". Anche se il Vat. II concederà più spazio alla Comunione sotto le due specie, il principio dottrinale, fissato da Trento, resta valido: con la Comunione ad una sola specie si riceve Gesù nella totalità del suo mistero pasquale.

La Chiesa disponendo così, ha interpretato autenticamente il pensiero di Cristo.

San Pietro (contrariamente a quanto Kiko afferma a pag. 329) oggi non si meraviglierebbe affatto della disposizione di un suo successore, investito della sua stessa autorità e guidato dal suo stesso Spirito. Ogni spiegazione della parola di Dio per essere valida, non deve dimenticare questi principi.

Pag. 319 (6° capoverso)

" ... Questa resurrezione è quella che ha creato tra gli uomini uno Spirito nuovo vivente, uno Spirito vivificante che ha fatto nascere la Chiesa ..."

Nota: La resurrezione di Cristo, non ha creato, ma ha comunicato agli uomini, ormai uniti per sempre a Cristo nella fede e nell'amore, il Suo stesso Spirito che ci fa figli di Dio e fratelli fra noi.

Pag. 320 (3° capoverso)

"Si costruiscono basiliche enormi con le quali entrano nella liturgia elementi di fasto e solennità. Da questo momento la luce potente della Chiesa Primitiva si ricopre e si offusca caricandosi di elementi di fasto."

Nota: Ma anche prima della pace Costantiniana esistevano le basiliche (= le sale regie) che risalgono alla fine del II secolo e sono il nucleo di tante attuali basiliche romane. Il fasto che entra nella Chiesa è anche segno di fede nella trascendenza di Dio. Fede che ha ricercato in tutti i tempi di onorare Dio meglio che fosse possibile. E quello non era trionfalismo, bensì, mezzo per esprimere la bellezza di Dio, la gioia della fede, la vittoria della verità sull'errore; un modo per onorare, senza tirchieria, il loro Signore e Dio" (Ratzinger R.F. pag. 135).

Pag. 321 (1° e 3° capoverso)

"Altro aspetto di fasto e religiosità è la processione delle offerte cioè l'offertorio. Nella Chiesa primitiva non c'era nulla di simile." ... "Da questo momento in poi quest'offrire cose a Dio occuperà un posto di primaria importanza dentro il rito."

Nota: L'offertorio non è qualcosa che deriva dai pagani!

L'idea di offerta non è estranea nelle descrizioni che fa San Giustino, anche se non si parla di offerta di fedeli.

Il primo a parlare di offerta del pane e del vino da parte dei fedeli è S. Ireneo (135 - 200), come segno di gratitudine dei fedeli verso Dio creatore. Così ne parlano Tertulliano (160 - 220), S. Cipriano (+258): Il rito dura a lungo a Roma (fino al secolo XI).

La moltiplicazione delle messe private e l'uso esclusivo del pane azzimo, ne affrettano la decadenza all'epoca carolingia.

Oggi la Chiesa rimette in onore le processioni offertoriali. Non è però da dimenticare che il vero offertorio è quello compiuto da Cristo nella Consacrazione, in cui offre il suo Corpo ed il suo Sangue.

Il nostro offertorio ha un valore simbolico, se anticipa la vera offerta che verrà fatta dopo; se diventa un simbolo della nostra vita che vogliamo offrire a Dio, unendola a quella di Gesù al Padre.

Pag. 321 (5° e 7° capoverso)

"Al principio perlomeno le offerte si lasciavano alla porta dei templi; poi però, dato che questo fatto delle offerte andava bene, ..."

"E' chiaro che questo offrire a Dio non è affatto una cosa cattiva. Tu puoi offrire a Dio quello che vuoi, ma l'Eucaristia è una cosa ben diversa, nettamente distinta da tutto ciò. Nell'Eucaristia tu non offri nulla: è Dio assolutamente presente quello che dà la cosa più grande e cioè la vittoria di Gesù Cristo sulla morte."

Nota: Il giudizio per cui le offerte fatte nella Messa sono una reviviscenza pagana è falso.

Se la causa che ha originato le offerte nella Messa fosse quella a cui accenna Kiko con l'inciso ironico: "poiché il fatto delle offerte andava bene", che dire allora dell'uso ripristinato dalla riforma liturgica, che specie nelle Messe papali, vede una lunga processione che reca all'altare doni di ogni genere? È forse anche questa un'idea pagana da condannare?

Avvertita la "gaffe" si cerca di rimediare. Ma anche qui si ricade nelle consuete contraddizioni: il giudizio negativo prima espresso, è modificato dal nuovo "in fondo questo offrire a Dio non era cosa cattiva"! Se la liturgia allora si è veramente riempita di idee pagane possiamo domandare: "c'era allora nella Chiesa l'assistenza dello Spirito Santo?".

Pag. 322 (1°, 3° e 4° capoverso)

"La liturgia è solennissima: canti grandiosi e musica. ..."

"Ma soprattutto questa massa di gente pagana, vede, in fondo, la liturgia cristiana con i suoi occhi religiosi: l'idea del sacrificio. C'è un completo retrocedere all'antico testamento che era stato superato dallo stesso Israele. ..."

"Perciò quando poi nel medio evo si mettono a discutere del sacrificio, in fondo discutono di cose che non esistevano nell'Eucaristia primitiva. ... L'Eucaristia è sacrificio di lode, una lode completa di comunicazione con Dio attraverso la Pasqua del Signore. Ma in questa epoca l'idea del sacrificio non è intesa così ma nel senso pagano. Ciò che essi vedono nella messa è che qualcuno si sacrifica, cioè il Cristo. Nell'Eucaristia vedono soltanto il sacrificio della croce di Gesù Cristo. E se oggi chiedeste alla gente qualcosa a questo proposito, vi direbbe che nella messa vede il calvario."

A questo punto, prima di una nostra nota, premettiamo un giudizio del Card. Ratzinger (Messori, Rapporto sulla fede, Pag. 134) su certe accuse di trionfalismo, che qui riaffiorano nelle parole di Carmen: "Non è affatto trionfalismo la solennità del culto con cui la Chiesa esprime la bellezza di Dio, la gioia della fede, la vittoria della verità e della luce sull’errore e sulle tenebre. La ricchezza liturgica non è ricchezza di una qualche casta sacerdotale; è ricchezza di tutti, anche dei poveri, che infatti la desiderano e non se ne scandalizzano affatto.

Tutta la storia della pietà popolare mostra che anche i più miseri sono sempre stati disposti istintivamente e spontaneamente a privarsi persino del necessario pur di rendere onore con la bellezza, senza alcuna tirchieria al loro Signore e Dio".

C'è in questa pagina una tra le espressioni più negative del testo. L'idea del sacrificio - sostiene Carmen - è stata introdotta nella Chiesa sotto la pressione delle idee pagane poiché non esisteva nella Chiesa primitiva.

La dottrina della Chiesa sulla S. Messa come vero e proprio sacrificio, è antica come la Chiesa. I teologi sono concordi nell'affermare che già il solo fatto che Gesù abbia reso presente il suo Corpo ed il suo Sangue sotto specie separate, indica il carattere sacrificale della Messa.

Questo carattere è ancor meglio evidenziato dalle parole di Gesù: "questo è il Corpo dato... e il Sangue sparso per voi" che sono termini biblici indicanti l'offerta di un vero sacrificio.

Inoltre Gesù dice che il Suo Sangue è quello dell'alleanza nuova ed eterna che come l'antica è conclusa con l'offerta di un sacrificio cruento (cfr. Es 24,8; Eb 13,10; 1Cor 10,15-21).

La Chiesa ha visto sempre nell'Eucaristia un vero e proprio sacrificio (vedi Didachè c. 14 - Clemente Romano, Ignazio di Antiochia, Giustino, Tertulliano, Cipriano, Ambrogio, Agostino ecc. ecc.).

Anche tutte le liturgie antiche attestano il carattere sacrificale della Messa.

Furono i Protestanti, preceduti da Wicleff, a negare il carattere sacrificale della Messa. Secondo Harnach e Wieland la Chiesa dei primi due secoli avrebbe conosciuto solo un sacrificio soggettivo e spirituale di lode, di adorazione e di ringraziamento. Il testo così come suona ripete le eresie appena ricordate!

"L'Eucaristia è Pasqua, passaggio dalla morte alla risurrezione... L'Eucaristia è sacrificio di lode, una lode completa di comunicazione con Dio attraverso la Pasqua del Signore. Ma in questa epoca l'idea di sacrificio non è intesa così, ma nel senso pagano..." (dice Carmen).

Se l'affermazione di cui sopra (fine del quarto capoverso), fosse vera, avremmo avuto un periodo, nella storia della Chiesa, in cui questa ha sbagliato nel ritenere la Messa un sacrificio e, cosa ancora peggiore, come un sacrificio pagano. Sarebbe mancata perciò una caratteristica fondamentale della Chiesa: la sua infallibilità. Questa è pura eresia!

Ci scusiamo dell’insistenza avendo già dimostrato la falsità di queste affermazioni. A proposito dell'Eucaristia-sacrificio facciamo notare che, se l'Eucaristia (che è il "memoriale", cioè l'attualizzazione, del mistero Pasquale di Cristo, = mistero di morte e resurrezione) non è un vero sacrificio, ne consegue che anche il fatto che è attualizzato da questo rito (la morte in Croce di Cristo) non è un vero sacrificio.

Ma con questa affermazione si nega completamente non solo il valore redentivo della morte di Cristo, ma altresì il valore sacramentale dell'Eucaristia.

Secondo la teoria di Kiko l'Eucaristia diventa "il memoriale" di un rito qualsiasi, e non di un rito sacrificale, redentore (quello della morte in Croce di Cristo). Gesù, istituendo l'Eucaristia, (come già ricordato) dice chiaramente che essa è "il memoriale" "del suo Corpo dato e del suo Sangue versato per la remissione dei peccati". Cioè, è "memoriale" di un atto sacrificale, nel quale Egli dà la sua vita per la salvezza degli uomini.

Ne consegue quello già detto: com'è un vero sacrificio la sua morte, così è vero sacrificio il "memoriale" di essa.

Questa è la dottrina che la Chiesa ha sempre insegnato, come verità rivelata, negando la quale non si è più nella Chiesa.

Kiko e Carmen sembrano negare completamente questa dottrina, nascondendo questa eresia, che poi e' la stessa di Lutero, sotto una valanga di parole, di espressioni roboanti, capaci forse di colpire orecchie di principianti, ma non l'intelligenza di chi conosce più a fondo l'insegnamento della Chiesa.

Da queste premesse dottrinali, diffuse insistentemente tra gli aderenti al movimento, sono originati altre convinzioni ed atteggiamenti che non sono conformi né alla dottrina cattolica né alla prassi comune dei fedeli, come per esempio l'assenza quasi assoluta dei N.C. a qualsiasi pratica in onore della Santissima Eucaristia al di fuori della S. Messa.

Pag. 323 (1° e 2° capoverso)

"Se abbiamo trovato gente che non vive la Pasqua, né la capisce, adesso ci troviamo di fronte al fatto che comincia a non capirsi neanche il latino.... Allora la gente deve immaginare le cose."

"Appaiono nelle chiese i grandi quadri che rappresentano la vita e i miracoli di Gesù Cristo. Del popolo di Israele che è il popolo dell'udito, abbiamo fatto il popolo dell'immaginazione...."

Nota: Il fatto che il popolo pian piano non abbia capito il latino della liturgia, non significa che non abbia creduto al Mistero al quale partecipava.

Non è la conoscenza della lingua che rende più comprensibile il mistero. Esso resta sempre. Al mistero ci si avvicina con la fede e con l'amore.

I grandi quadri, i mosaici, che compaiono nelle Chiese, costituirono per il popolo, in gran parte analfabeta, la Bibbia viva, la Parola di Dio che essi contemplavano con gli occhi estasiati ed amavano con il cuore semplice. Kiko, con il suo accenno, vuol forse condannare quell'arte ancora oggi tanto ammirata; piena di fede, di bellezza, di poesia, per esaltare una certa arte moderna spesso fatta di sgorbi o di macchie di colori?

Pag. 324 (3° e 4° capoverso)

"In quell'epoca ... si giunge ad una superstizione completa ..."

"Si comprende perciò perfettamente perché sorse Lutero ..."

Nota: Anche in questa pagina abbondano, come di consueto, affermazioni contraddittorie.

Prima si afferma che, nel passato, non si capiva più niente dell'Eucaristia; che si era perso il senso dell'assemblea; che la messa era diventata un rito penitenziale ecc.. Adesso, si dice che la Chiesa "manteneva il nucleo essenziale dell'Eucaristia". Abbiamo più volte fatto notare questo dire e disdire, che rivela una tattica: demolire, screditandola, la Chiesa prima del Vaticano II, nel tentativo di provare, o convincere, che quella che essi (N.C.) presentano è la vera Chiesa.

Questa convinzione è fortemente radicata nei laici e nei presbiteri del movimento che affermano con molta ... chiarezza ed umiltà (!): "noi siamo la vera Chiesa! Noi siamo i veri preti di questo post-Concilio!".

Scrivere ed insegnare queste cose, significa affermare che "in quelle epoche", il Magistero infallibile della Chiesa non esisteva più. Questo è eresia!

Pag. 325 (inizio pagina)

"Con Papa Pio V ci fu un tentativo di riforma nel Concilio Laterano..."

Nota: Abbiamo già notato come gli autori del testo, per i loro fini, sono pronti a travisare e alterare Parola di Dio, storia, teologia, filosofia ecc. ecc.

San Pio V (1566 - 1572) lavorò molto per la riforma della Chiesa, in attuazione dei decreti del Concilio di Trento, ma non radunò, come qui si afferma, nessun Concilio al Laterano.

Pag. 325 (2° e 3° capoverso) "... la liturgia è in continuo rinnovamento."

"... La liturgia è vita, una realtà che è lo Spirito vivente tra gli uomini. Perciò non lo si può mai imbottigliare,..."

Nota: C'è qui un'altra dimostrazione delle contraddizioni del testo. Prima ci si scaglia contro le innovazioni introdotte nel corso dei secoli, affermando che venivano da concetti pagani o da altri ... interessi. Qui si riconosce il diritto ad un rinnovamento, perché la liturgia è vita.

Ma dopo aver negato questo diritto alla Chiesa del passato, e successivamente averlo riconosciuto, i neocatecumenali dovrebbero conoscere quanto stabilisce il Vaticano II (S.C. n° 22,1-2-3): "regolare la Sacra Liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede Apostolica e, a norma del Diritto, nel Vescovo"....Di conseguenza nessun altro, assolutamente, anche se Sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica.

Queste norme non esistono per i N.C. che celebrano l'Eucaristia come piace a loro.

"La liturgia non è un show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese "simpatiche", di trovate "accattivanti", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero, ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurare il "successo" in termini di efficienza spettacolorae, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il "proprium" liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade qualcosa che tutti noi insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi; ciò che vi si manifesta è l’assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge fino a noi (Card. Ratzinger in Messori, Rapporto sulla fede, pag. 130).

"Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere "predeterminata", "imperturbabile" perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata "la vecchia rigidità rubricistica", accusata di togliere "creatività", ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del "fai-da-te", banalizzandola perché l’ha usa conforme alla nostra mediocre misura." (Messori, Rapporto sulla fede, pag. 130-131).

Pag. 325 (4° capoverso)

"...Il sacramento parla più dei ragionamenti. Ma a quel tempo poiché non si capisce ciò che è il sacramento, si cerca di dare spiegazioni filosofiche del mistero. E così cominciano i dibattiti su: "Come è presente?" Lutero non negò mai la presenza reale, negò solo la parolina "transustanziazione" che è una parola filosofica che vuol spiegare il mistero"

Nota: Il valore e l'efficacia del Sacramento, come già detto, non dipende dalla valorizzazione del segno. Esso agisce per forza propria: ex opere operato (come si esprime la teologia). Cfr. note per la pagina 326.

Le spiegazioni filosofiche non vogliono spiegare il mistero: sono tentativi legittimi per rendere l'atto di fede "obsequium rationabile". Cercare, cioè, di eliminare l'apparente contrasto tra la fede e la ragione.

Lutero non ha potuto negare la presenza reale, limitandola però al momento dell'uso, cioè alla Comunione, ammettendo anche una coesistenza del Corpo e Sangue di Cristo, con la sostanza del pane e del vino. Per i Protestanti i Sacramenti sono soltanto pegni della promessa divina della remissione dei peccati, e mezzi per risvegliare e fortificare la fede fiduciale che sola giustifica.

Quindi non mezzi di grazia (come insegna la Chiesa), ma di fede, e contrassegni di questa. Dottrina condannata però dal Concilio di Trento. A riguardo della parola "transustanziazione", che secondo Kiko è una parola filosofica che vuol spiegare il mistero, il C.C.C. n° al numero 1376 dice: "Il Concilio di Trento riassume la fede cattolica dichiarando... che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica "transustanziazione" ". Ma Kiko, che dice di accettare la dottrina del Vat II, continua a rifiutare questa parola.

Pag. 325 (verso la fine)

" ...Ma la cosa importante non sta nella presenza di Gesù Cristo (nell'Eucarestia). Ossia, la presenza fisica nel mondo ha uno scopo che è il resuscitare dalla morte. Questa è la cosa importante. La presenza è un mezzo per il fine, che è la Sua opera: il mistero di Pasqua. La presenza è in funzione dell'Eucarestia, della Pasqua...".

Nota: La Carmen afferma che la presenza di Gesù Cristo nell'Eucaristia, non è la cosa più importante... perché la presenza fisica nel mondo ha uno scopo che è il resuscitare dalla morte. Ma "Gesù si è incarnato per cancellare il peccato e riconciliare gli uomini con Dio per mezzo del suo Sacrificio di croce (Eb 10,15)". Questo disegno di Dio comportava da parte di Cristo l'immolazione reale del suo Corpo sulla croce alla quale, come suggello dell'accettazione da parte del Padre, sarebbe seguita la sua resurrezione. Poiché la Messa è il "memoriale" del Sacrificio Pasquale di Cristo, è ripresentazione della sua Passione, morte e resurrezione. Se nell'Eucarestia non ci fosse il suo Corpo, cioè la presenza reale di Gesù, non ci sarebbe neppure il memoriale del suo Mistero pasquale. L'Eucaristia, se non fosse presenza di Cristo, non sarebbe né sacrificio, né memoriale. Quindi non sarebbe neppure Sacramento, ma una semplice cena commemorativa.

Pag. 326 (1° capoverso)

"... Il memoriale che Egli lascia è il Suo Spirito resuscitato dalla morte, ..."

Nota: La frase è composta di parole senza senso. Perciò chiediamo alla Carmen: "Gesù è presente nell'Eucaristia con il suo solo Spirito risuscitato dalla morte" o con la realtà del suo Corpo?

Nel primo caso si nega la Risurrezione di Cristo nel suo vero Corpo.

Nel secondo l’espressione è teologicamente sbagliata.

Pag. 326 (2° capoverso)

"E' quando non si capisce più ormai questa presenza della Pasqua, di questo sacramento che si vuole spiegare filosoficamente, che si cominciano i dibattiti su come è presente, con gli occhi o senza gli occhi, fisicamente ecc. Tutte queste spiegazioni partono da un punto falso, consistente nel voler spiegare razionalmente qualcosa di diverso."

Nota: La spiegazione che la teologia "razionale" ha cercato di dare al mistero eucaristico, non ha mai preteso - come afferma Carmen - di offrire una spiegazione filosofica, valida razionalmente, dell'oggetto di fede, ma mostrare che tra l'atto di fede ed i postulati della ragione, non c'era opposizione. La teologia, non spiega con la ragione, i sacramenti. Essendo essi "segni efficaci di una realtà invisibile" questa non è oggetto di alcuna spiegazione filosofica, ma solo di fede. La teologia si sforza di capire, dopo aver emesso anch'essa un atto di fede nel mistero che tratta, il significato che quei segni possono avere per noi, e conoscere quando i segni stessi diventano veramente efficaci, produttori di grazia.

La teologia, studiando il mistero, non cerca evidenze razionali per sottrarsi al dovere di credere. Non chiede: "è vero quello che dice il Signore?", ma: "Signore, aiutaci a capire meglio quello che ci dici."

La teologia è a servizio dei fratelli: non deve far da padrona sulla fede, ma collaborare alla gioia dei credenti (cfr. 2Cor. 1,4) ed aiutare l’intelligenza ragionante a compiacersi anch’essa dei misteri della fede.


Pag. 326 (5° capoverso)

"Un sacramento è formato da due elementi: uno è il segno, esplicitazione del mistero, e l'altro è l'efficacia del segno, che realizza quello che il segno significa."

Nota: Il Sacramento è formato da due elementi: il segno esterno e la parola che lo accompagna. L'efficacia del segno non è - come si dice qui - un elemento essenziale del Sacramento. Cioè, non è il Segno, o la comprensione che di esso si ha, che rende efficace il Sacramento - come afferma Carmen.

Da questo concetto i neocatecumenali partono all'attacco della Comunione con l'ostia (uso in vigore all'inizio del secolo IX) che data la forma, "sembra di carta".

Però si conclude che "anche in questo caso, quanto all'efficacia il sacramento si realizza" (pag. 326).

In questa affermazione c'è una chiara contraddizione con quanto Carmen stessa prima aveva affermato sul significato del segno come elemento costitutivo del Sacramento. Se infatti il sacramento è efficace comunque, anche con l'ostia che sembra carta, ciò significa che l'efficacia del segno sta nelle parole del Ministro, e non nella percezione del suo significato da parte di chi lo riceve. Ma questa conclusione, anche se, logica non piace a Carmen. Ci ritorna alla fine della pagina 326 appoggiandosi ad una frase di Farnes che fa un paragone tra il cesto o il secchio usati per raccogliere la pioggia. "Questa è sempre efficace, ma quell'efficacia col secchio rimane, col cesto invece si perde". Il paragone però non è valido. Il secchio o il cesto non è segno della pioggia che cade: può essere segno solo della volontà, efficace o meno, di chi usa i diversi mezzi per raccoglierla. Il Segno sacramentale del Battesimo (cioè l'acqua) che di natura sua poteva indicare molte cose, ne indica invece un'altra di carattere completamente diverso, anche se simile, perché soprannaturale. Questa indicazione è data dalle parole (la forma) che usa il Ministro nell'utilizzare quel segno.

Quell'acqua che poteva servire per dissetare, innaffiare, rinfrescare ecc., viene utilizzata secondo il fine determinato dal Ministro del Sacramento. Se colui che lo riceve è, poi, un secchio o un cesto, certamente non sarà questo suo stato a determinare il valore dell'atto, ma soltanto la fruttuosità nei suoi confronti (cfr. C.C.C. n° 1145 ss).

Pag. 327 (1° capoverso)

"La liturgia è piena di segni, perché da essi non si può prescindere affinché la grazia si realizzi".

Nota: Il segno è richiesto perché Gesù l’ha usato per trasmetterci il dono invisibile e spirituale della grazia. Ma questi segni conferiscono la grazia soltanto se usati come Cristo li ha usati. Così il pane e il vino nell'Eucaristia diventano segni di una realtà soprannaturale solo quando sono trasformati dalle parole della consacrazione. Ma questa realtà soprannaturale si percepisce solo con la fede e non attraverso la visione del segno.

La Chiesa nella liturgia, affinché il sacramento, fonte di grazia, si realizzi, (C.C.C. n° 1127-1128) non può prescindere da quel segno assunto da Cristo (C.C.C. n° 1151-1152) e da Lei riconosciuto.

Nell'Eucaristia il segno è quello del pane e del vino e le parole sono quelle contenute nei testi liturgici. Gli altri segni usati sia prima, sia dopo la consacrazione, non sono essenziali, ma solo integranti.

Pag. 327 (8° capoverso)

"Si recuperano i segni: si comincia a comunicare con il pane e non con un'ostia che non sembra più pane, si beve al calice. Il Concilio Vaticano II ha stabilito che si recuperino i segni in tutta la loro ricchezza di segni. Si recupera l'abbraccio di pace nonostante ciò risulti difficilissimo alla gente dato che non siamo né in assemblea né in comunità."

Nota: La Dottrina della Chiesa definisce quello che è l'essenziale per il Sacramento: (la materia, la forma: (Decr. 887 e 884) e il Ministro (Conc. Lat. 1215; Dc 430 - a24 e 961 - 949). I segni che però danno la grazia sono quelli usati nei sacramenti della Chiesa. Gli altri segni, anche se usati in celebrazioni liturgiche, sono soltanto dei simboli adatti a stimolare o approfondire la conoscenza del mistero che si sta celebrando. Questi non danno la grazia santificante.

Il ricupero dei segni non si ha ripetendoli soltanto, ma comprendendone e vivendone il significato. Anche dopo la riforma del Vaticano II troppi segni restano muti perché non è stata fatta una catechesi adeguata.

Pag. 327 (9° capoverso)

"L'offertorio nella riforma ha perduto di importanza, immaginate cosa significa per la gente togliere il poco a cui partecipava."

Nota: Conosciamo bene l'importanza della riforma a cui abbiamo dato l'approvazione fin dalla stesura della S.C. del Vaticano II. Non approviamo tuttavia, quanti, in nome del Concilio, vogliono introdurre abusi, o false interpretazioni.

Qui, nel testo, ce n'è una prima:

"non ci sarà una vera assemblea, se non sorgeranno comunità che vivono dello Spirito per esultare in Comunione". Cosa si vuole insinuare? Che saranno indispensabili le Comunità neocatecumenali per attuare i dettami conciliari? Le altre non contano?

La traduzione in lingua volgare, che non doveva eliminare la lingua latina (S.C. 36,1), non risolve il problema della comprensione dei riti, se mancherà una solida e continua catechesi.

L'Ostia tradizionale, ancora non è stata abolita dalla Chiesa, ma dai neocatecumenali, molti anni prima di averne l'autorizzazione! Anche per la Comunione al calice da questi non vengono osservate le norme emanate in materia. Belli esempi di obbedienza all'autorità della Chiesa!

L'offertorio nella riforma non ha perduto di importanza, anzi ha assunto una maggiore solennità (vedi le Messe papali), anche se è chiaro il suo significato teologico!

Pag. 328 (7° e 8° capoverso)

"Neppure c'è il Gloria ..."

"Lo stesso per il Credo ..."

Nota: Per i neocatecumenali il Gloria e il Credo non ci sono mai nelle loro celebrazioni. Anche se il Gloria è entrato più tardi nella liturgia, esso ha un’origine antichissima; ed è un inno con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio Padre e l’Agnello.

Ma per Carmen e Kiko il Gloria non ha senso perché duplica, essi dicono, l’anafora. Anche se questa motivazione è portata da alcuni liturgisti, si deve ricordare che le forme e i modi della celebrazione sacramentale, solo la Chiesa gerarchica può disporli (C.C.C. n° 1124, 1125 e 1126).

I neocatecumenali che si dichiarano figli obbedienti della Chiesa di cui vogliono portare nel mondo l’insegnamento, dimenticano i dettati del C.C.C. n° e del Vaticano II, S.C. n° 22-26.

Le uniche norme per loro valide sono quelle emanate da Kiko!

A nostro avviso, trascurando la considerazione sul tempo dell’introduzione del Gloria nella Messa, si può affermare che la sua collocazione dopo il Kyrie e prima della "colletta", costituisce un atto di riverenza e di amore verso la Santissima Trinità, fonte del mistero che si sta celebrando.

Per il Credo identico è il comportamento dei N.C.. "Esso, affermano, viene dal tempo delle eresie; quando cominciarono ad apparire eretici e apostati; prima di passare all’Eucaristia gli si faceva confessare la loro fede".

La Chiesa oggi lo recita per suscitare nell’assemblea, dopo l’ascolto della parola di Dio, una risposta di assenso e di richiamo alla mente delle regole della fede, prima di incominciare la celebrazione dell’Eucaristia. Ma anche qui Kiko si ritiene autorizzato a disporre a suo piacimento della liturgia della Chiesa. Contro ogni disposizione essi rifiutano la recita della formula niceno-costantinopolitana, usando talvolta (come nella visita del Papa alla comunità di Porto S. Giorgio) altre formule.

Dalla confessione di un ex-NC si apprende che la mancata recita del Credo proviene da un’altra motivazione, e non da quella di voler ritornare alle origini. Verso la fine del Credo, infatti, si dice: "Credo la Chiesa, una santa, cattolica e apostolica". Poiché i NC non ammettono la Chiesa gerarchica, non vogliono neppure recitare una formula con la quale sarebbero costretti ad affermare la loro fede in quella Chiesa in cui non credono. La motivazione diffusa tra gli aderenti che essi non recitano il Credo "perché non ne sono degni" è semplicemente ridicola! Il Credo è la formula antichissima con la quale il Cristiano esprime la sua fede. E poiché la fede è una risposta a Dio che si rivela, questa non sarà, né può esserlo, un atto che il Cristiano non è degno di porre, anzi è la conseguenza logica e doverosa della sua fede.

Dopo queste disposizioni kikiane, riguardanti la celebrazione del mistero centrale della nostra fede, si pone la domanda: "Come mai, tanti Vescovi e Sacerdoti permettono, da circa trenta anni, una prassi liturgica contraria a quella della Chiesa; mentre continuano a ripetere che le catechesi di Kiko sono un dono dello Spirito Santo per la Chiesa del nostro tempo?"

Si deve concludere che certi pastori queste catechesi o non le hanno mai lette oppure anch’essi, seppur tacitamente, le approvano.

In entrambi i casi c’è da esclamare: "Signore, pietà"!

Pag. 329 (2°, 4°, 5° e 6° capoverso)

Pag. 330 (2° e 3° capoverso) Pag. 331 (2° e 4° capoverso)

"Dicevo che la Chiesa primitiva non ha mai problemi sulla presenza reale. Se a San Pietro fosse stato chiesto se Gesù Cristo sia presente nell'Eucaristia, si sarebbe meravigliato, perché lui non si pone il problema. Per lui Cristo è una realtà vivente che fa Pasqua e trascina la Chiesa. Non è questione di briciole o cose di questo tipo; San Pietro si sarebbe scandalizzato molto più del fatto che non c'è l'assemblea o che uno solo beve dal calice. E' questione di sacramento, di assemblea."

"Cominciano le grandi esposizioni del Santissimo, (prima mai esistite), perché la presenza era in funzione della celebrazione eucaristica e non il contrario. Il pane e il vino non sono fatti per essere esposti, perché vanno a male. Il pane e il vino sono fatti per essere mangiati e bevuti."

"Io sempre dico ai Sacramentini, che hanno costruito un tabernacolo immenso: se Gesù Cristo avesse voluto l'Eucaristia per stare lì, si sarebbe fatto presente in una pietra che non va a male."

"Il pane è per il banchetto, per condurci alla Pasqua. La presenza reale è sempre un mezzo per condurci ad un fine, che è la Pasqua. Non è un assoluto, Gesù Cristo è presente in funzione del mistero pasquale."

"La presenza di Gesù Cristo è un'altra cosa. E' il carro di fuoco che viene a trasportarci verso la gloria, a passarci dalla morte alla resurrezione, a farci veramente entrare nella morte, che è molto diverso. L'Eucaristia è completamente dinamica, ci mette in cammino. Noi l'abbiamo trasformata in qualcosa di statico e manipolabile per noi. Pensate che è tanto vero quel che dico che facciamo il ringraziamento dopo aver comunicato, mentre tutta l'Eucaristia, come abbiamo visto, è azione di grazie."

"Tutti i valori di adorazione e contemplazione, che non sono alieni alla celebrazione del banchetto, sono stati tirati fuori dalla celebrazione come cose marginali. L'adorazione al Santissimo, per es. ..."

"Come una cosa separata dalla celebrazione cominciano le famose devozioni eucaristiche: L'adorazione, le genuflessioni durante la messa ad ogni momento, l'elevazione perché tutti adorino. ..."

"L'adorazione e la contemplazione sono specifiche della Pasqua, ma dentro la celebrazione, non come cose staccate. ..."

Nota: A riguardo di questa ultima frase che sembra escludere la presenza di Gesù al di fuori della celebrazione eucaristica ci sia consentito riportare quanto scrive il Card. Ratzinger: "Si è dimenticato che l’adorazione è un approfondimento della Comunione. Non si tratta di una devozione "individualistica", ma della prosecuzione o della preparazione del momento comunitario" (Messori, Rapporto sulla Fede, pag. 157).

"Ma gli "archeologi" della liturgia hanno da ridire su tutto quello che non c’era nella liturgia dei primi secoli, non riconoscendo al "sensus fidei" del popolo cattolico la possibilità di approfondire, di portare alla luce, secolo dopo secolo, tutte le conseguenze del patrimonio che gli è stato affidato" (ivi).

Riportiamo inoltre da "Princìpi e norme" del Messale Romano: "Il mistero della Presenza reale del Signore sotto le specie eucaristiche, (oltre che essere esplicitamente affermato dal Vat. II e da altri documenti del Magistero) è posto in luce "dal senso e dall’espressione esterna di sommo rispetto e di adorazione di cui è fatto oggetto nel corso della liturgia Eucaristica. Per lo stesso motivo al Giovedì Santo e nella solennità del Corpo e Sangue del Signore, il popolo cristiano è chiamato ad onorare in modo particolare con l’adorazione questo ammirabile sacramento.

Si può concludere, molto amaramente, che:


1) I neocatecumenali (o meglio Kiko e Carmen) non credono alla presenza reale di Cristo sotto le apparenze del pane e del vino consacrati terminata la messa.


2) Non credono che questa presenza si estenda anche ai frammenti ("le briciole") del pane.


3) Ne consegue che quanti credono nella presenza reale dell'Eucaristia, terminata la Messa, a giudizio dei N.C. compiono un atto di idolatria.


4) E poiché la "lex orandi" è una dimostrazione della "lex credendi", e cioè, che la preghiera della Chiesa dimostra la sua fede, si dovranno condannare, secondo queste premesse, tutti coloro che promuovono il culto eucaristico, nelle varie forme o manifestazioni, come XL ore, congressi eucaristici, ore di adorazione, ecc. ecc.


5) Infine, l'affermazione in cui si dice "che se Cristo avesse voluto l'Eucaristia per restare lì (= cioè nel Tabernacolo) si sarebbe fatto presente in una pietra che non va a male", è un insulto a tutta la Chiesa, che incominciando dal Sommo Pontefice ed abbracciando schiere numerose di Istituti religiosi, di Santi, di Martiri, di Vescovi e Sacerdoti hanno fatto, nel corso dei secoli, dell'adorazione eucaristica il centro della loro spiritualità e del loro apostolato. Spiritualità questa che sostiene, anche oggi, milioni di fedeli di ogni grado culturale e sociale.

Non è da meravigliarsi se da queste teorie, diffuse nelle catechesi, nascono poi certi comportamenti comuni (dove più dove meno) a tutti i gruppi neocatecumenali.

"L'adorazione e la contemplazione (é scritto nel testo) sono specifiche della Pasqua, ma dentro la celebrazione, non come cose staccate" (pag. 331).

Questa affermazione è conseguenza della convinzione che la Presenza reale non esiste più terminata la celebrazione della Messa. Ed i neocatecumenali sono logici all'insegnamento loro impartito. Risulta da innumerevoli testimonianze che essi non fanno mai (con eccezioni rarissime) alcun gesto di adorazione passando davanti al Tabernacolo, né qualche visita al SS.mo. Lo stesso avviene il Giovedì Santo, quando il SS.mo viene solennemente esposto dopo la celebrazione della Messa in "Coena Domini".

Si aggiunga la trascuratezza verso i frammenti del pane consacrato ("le briciole") che numerosi cadono per terra, sia per il modo di confezionare il pane usato nella celebrazione, sia per quello di passarselo reciprocamente. Questi frammenti, visibili anche ad occhio non esperto, se caduti per terra, non sono raccolti ma calpestati e trascurati come le briciole che cadono da una qualsiasi mensa.

Esistono a questo proposito documentazioni che vengono da ogni parte oltre quelle viste personalmente insieme ad altri testimoni avvenute nella Basilica di S. Giovanni in Laterano. Dopo certe celebrazioni dei neo-catecumenali, pie persone hanno curato di raccogliere - per poi inviare alle autorità del Vicariato - i frammenti che numerosi erano caduti per terra e che venivano calpestati dai presenti, ma si è cercato di impedirli.

I neo-catecumenali per difendersi dall'accusa di profanazione affermano che sui frammenti rimasti dopo la celebrazione, prima che vengano buttati come rifiuti comuni, un loro "ostiario o ostiaria" recita una preghiera che li ... sconsacra!

Ad un sacerdote che si meravigliava per quanto si faceva delle "briciole", un presbitero ha detto: "ma tu ci credi ancora?".

Collegato a questa convinzione è l'atteggiamento da essi tenuto dopo la S. Comunione. Il ringraziamento non si deve fare (pag. 330). A sostituirlo hanno introdotto una specie di danza "biblica" fatta intorno al tavolo che è servito da mensa, perché essi non celebrano mai su un altare consacrato, anche se si radunano in chiese o basiliche, o sono presenti Vescovi o Cardinali.

Vale la pena riportare quanto scrive un teologo moderno (Francois X. Durwell, l.c. pag. 128 e seg.): "Proprio perché la Messa non è solo una azione della comunità, fatta di preghiere, di canti, di partecipazione fraterna, la festa non si chiude appena finita la Cena. Ma la Messa è la celebrazione dell'amicizia, anzitutto di quella di Cristo. Ma né il suo Sacrificio, né la sua presenza, svaniscono dal nostro mondo, ma entrano nel nostro del quale Cristo prende possesso perché 'chi mangia la mia carne ... dimora in me ed io in lui' (Gv 6,56).

La grazia eucaristica è quella di una amicizia identificante. Perché non attardarsi in questo incontro destinato a divenire eterno? Perché non ritardare per qualche istante, la dispersione nelle attività terrestri, affinché non proiettino il fedele fuori di Cristo, ma si riempiano esse stesse di carità?

Dio fa comunione con l'uomo ... lo fa sedere al banchetto della sua presenza reciproca: perché non goderlo per qualche minuto? Egli ci ha permesso di avvicinarci alla fonte del seno aperto; perché non bere ai fiumi dello Spirito (che da esso sgorgano)?

La comunione eucaristica coinvolge tutto quanto l'uomo, ... È nella stessa natura di questa Comunione l'essere accompagnata da una certa esperienza di unione con Cristo. Questa esperienza - certo - è vissuta nella fede, ma la fede non è il velo che nasconde il mistero, ne è la rimozione incompleta....

Come pregare in azione di grazie?

Accogliendo amorosamente il Signore che viene e offrendosi a Lui perché faccia in essi ciò che ama. Abbandonarsi all'amore infinito non è umiliarsi. È sottomissione d'amore che risponde al dono d'amore di Dio diventato nostro cibo, dato nelle nostre mani." (Durrwel op.c.).

Agli atteggiamenti sopra accennati dei neocatecumenali, si deve aggiungere l'arbitrio ormai dilagante di disporre a piacimento dei riti della messa; tralasciando ciò che non piace o cambiando come a loro piace: l'aggiunta di modifiche, preghiere, interventi, proibiti dall'autorità della Chiesa che è l'unica competente nel regolare S. Liturgia (S.C. 22,1-2-3; 23) per cui spesso la Messa diventa uno show accompagnato da chitarre, danze, abbracci e baci!

Pag. 333 (1° e 5° capoverso)

"Carmen vi ha spiegato come le idee sacrificali, che Israele aveva sublimato, si introdussero di nuovo nella Eucaristia cristiana. Forse che Dio ha bisogno del Sangue del Suo Figlio, del suo sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel sacrificio di Suo Figlio alla maniera degli dèi pagani. Per questo gli atei dicevano: Che tipo di Dio sarà quello che riversa la sua ira contro Suo Figlio nella croce? ... E chi poteva rispondere? ..."

"I macelli avvenuti nella storia della Chiesa ci dimostrano una cosa: che noi uomini ci siamo impegnati a distruggere la Chiesa e non ci siamo riusciti. Gli uomini di Chiesa han fatto tutto il possibile per abbatterla. Il fatto che oggi esista la Chiesa è uno dei miracoli più grande che vi sia"

Nota: Kiko conferma ancora una volta la sua adesione alle idee eretiche di Carmen, per la quale il concetto di Sacrificio è stato introdotto dalla Chiesa mutuandolo in parte dal concetto che se ne aveva nel Vecchio Testamento, in alcuni momenti della storia del popolo eletto, senza tener conto del vero concetto che i profeti più volte avevano richiamato.

E prosegue: "a queste deformazioni è arrivata la teologia nella Chiesa a causa delle razionalizzazioni sull'Eucaristia!" e con questo, conferma di non riconoscere il carattere sacrificale della Morte di Cristo. Lapidario è, infine, il suo giudizio sulla teologia di grandi mistici, e di grandi e santi teologi: "Tutta una deformazione" della verità? S. Tommaso, S. Bonaventura, S. Teresa di Gesù, S. Alberto Magno, S. Caterina da Siena, S. Giovanni della Croce, S. Ignazio, S. Francesco d'Assisi, S. Antonio da Padova, S. Bellarmino ecc. ecc. Kiko li mette tra i "deformatori della verità"!

È paurosa questa ignoranza della teologia cattolica!

Dove troveranno la verità quelli che la cercano appassionatamente, non potendo essi rivolgersi più alla dottrina e al Magistero della Chiesa? Logicamente la risposta dei N.C. è: in Kiko!

Pag. 333 (6° capoverso) e Pag. 334 (1° capoverso)

"... Lo Spirito Santo ha permesso che apparissero questi rivestimenti in determinate circostanze storiche perché era necessario; in un certo momento, per esempio, fu necessario insistere contro i protestanti sulla presenza reale."

"Ma una volta che questo non è più necessario, non bisogna insistervi più. ..."

Nota: Iniziando dall'ultimo capoverso della pagina 333, Kiko, afferma che quanto precedentemente aveva chiamato "un macello nella storia della Chiesa", non è un fatto negativo, perché "in certe circostanze, alcuni di questi cambiamenti erano necessari". Ma se egli già sapeva che il fatto in sé non era negativo perché mettere tanto impegno nel criticare, ridicolizzare quanto veniva fatto in quelle epoche, se poi "quei cambiamenti erano necessari"?

Si cerca, forse, con questo metodo di screditare la visione di una Chiesa, per valorizzarne un'altra: quella post-Conciliare o, peggio, quella che sogna Kiko?

Ma nonostante l'inciso di cui sopra, si continua a parlare di idee sacrificali che la Chiesa ha introdotto (perché prima non l'aveva?) sotto la pressione di particolari eventi storici.

Lo stesso è avvenuto, si dice, in altri settori (anche se meno importanti): così per le offerte durante la Messa. Anche l'Omelia, che oggi finalmente si può ascoltare, perché prima non c'era, come il gesto di pace, così per il pane che sembrava un pezzo di carta, potersi accostare al calice al quale beveva solo il sacerdote ecc. ecc.

Tutte queste sono le stupende novità che egli promette, dimenticando però che l'Omelia c'è sempre stata, (vedi Giustino e Concilio di Trento), e rinnegando nuovamente e le decisioni date dal Magistero nel corso dei secoli e la validità dei cambiamenti che aveva accettato come necessari per quei tempi. L'amore alla Chiesa dovrebbe coniugarsi con l'amore alla verità e alla logicità!

Pag. 335 (2° capoverso)

"Celebreremo l'Eucaristia questa notte, sabato. Gesù Cristo risuscitò nella notte tra il sabato e la domenica. ... I cristiani si riunivano il sabato notte, in seguito si passò alla domenica mattina. Per questo il Concilio ha cominciato a lasciar celebrare l'eucaristia il sabato notte. ... La Chiesa ha posto l'Eucaristia il sabato sera perché è molto più segno. Il sabato ha molto più senso festivo, la domenica la festa è già finita. ..."

Nota: La riforma liturgica ha posto al sabato notte solo la celebrazione della Veglia Pasquale e non la Messa di tutte le domeniche.

Per Kiko, come ripete in altre parti, anche la notte nella quale si celebra l'Eucaristia, fa parte del Sacramento. Per questo motivo le celebrazioni neocatecumenali sono sempre tra la notte del Sabato e la Domenica. Il Sabato infatti si dice, ha un senso più festivo della Domenica. (Sembra di leggere Leopardi!).

Siamo sull'orlo dell'assurdo e del ridicolo! Ma è un assurdo, che piano piano si sta radicando nella mentalità e nella pratica di tanti semplici neocatecumenali, che non credono più al valore di una Messa celebrata di giorno, anche se questo è la Domenica.

"A pensarci bene lo spostamento della celebrazione della Messa alla notte tra il Sabato e la Domenica, sembra essere un tentativo simile a quello protestante di progressivo slittamento all’indietro, di un ritorno al monolitico Jahvé, mentre il Dio Trinitario rischia di scolorire." (Messori: Sfida della fede, pag. 238-239).

Da questo spostamento ne segue che la Domenica, per i N.C., è soltanto il giorno dell’incontro, della convivenza, dell’esposizione delle proprie esperienze, e non più il giorno dell’incontro con Dio: il giorno del Signore.

In qualche parrocchia, i N.C. sono capaci di partecipano raramente alla Messa domenicale.

Per fortuna molti Vescovi italiani, tra cui quattro Cardinali, hanno preso posizione contro questa pratica della messa notturna dei N.C. Si confronti anche quanto a più riprese ha scritto il liturgista P. Rinaldo Falsini, su "Vita Pastorale" in alcuni numeri del 1996 e 1997!

A questo punto, come indicato, riportiamo la nota conclusiva del testo "UN SEGRETO SVELATO":

 

Conclusione

Come le note hanno certamente evidenziato, l'esame accurato del testo "orientamenti" di cui ci siamo limitati a riportare i passi più significativi, ci ha portato a concludere che il Movimento Neocatecumenale fonda la sua Catechesi nella negazione di alcune verità fondamentali della fede. Esse comprendono: il Magistero della Chiesa; i Sacramenti, specialmente della Penitenza e dell'Eucaristia; il valore sacrificale della Messa; la presenza reale di Gesù dopo la celebrazione eucaristica; il valore redentivo della morte in croce di Cristo; la distinzione tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune. Altri errori, non meno gravi, riguardano la grazia, la libertà, il peccato.

Anche se tra gli aspetti positivi riconosciuti comunemente, c'è quello di un riaccostamento alla Parola di Dio, questo viene gravemente vanificato dal metodo interpretativo della medesima, che non è sempre rispettoso oltre che delle verità fondamentali, a cui sopra abbiamo accennato, anche delle norme dell'esegesi e dell'insegnamento del Magistero. Sussiste invece un massimalismo tenace, per il quale gli aderenti al Movimento vengono assimilati ai "Testimoni di Geova".

Dal testo risulta inoltre che il Cammino sarà lungo. Infatti gli anni della sua durata sono andati gradatamente crescendo: da 7 a 15, a 20! Si ha così un lungo periodo in cui centinaia di cristiani rimangono inutilizzati per ogni attività pastorale, ("sono messi in frigorifero", come si esprimeva un Ecc.mo Arcivescovo).

Durante questo periodo essi vengono inesorabilmente plagiati, attraverso numerosissime adunanze-catechesi svolte la maggior parte in ore notturne, quando diminuiscono le resistenze psico-fisiche del soggetto.

Si usano anche riti, gesti, simbolismi, espressioni adatte ad influenzare l'intelligenza, la volontà e la psiche dei partecipanti, ai quali, ad un certo punto, si arriva a far compiere azioni ed assumere comportamenti che la fede cristiana non impone a nessuno come condizione assoluta per la salvezza. Si giunge così a distruggere personalità, libertà, onorabilità, legami familiari e sociali.

Tra i motivi del consenso che accompagna il Movimento, oltre al profondo desiderio di Dio nel cuore umano al quale il movimento dà una sua risposta, oltre alla approvazione, talvolta entusiasta, data da una parte del clero, oltre al clima di socialità ed amicizia che si instaura nel gruppo, ne viene apertamente avanzato un altro: "il denaro". Si dice infatti che i milioni, anzi i miliardi, raccolti tra gli aderenti con modalità discutibilissime, dopo aver preso la destinazione del sostegno delle opere del Movimento prendono anche altre vie... sulle quali non vogliamo pronunciarci.

Con il nostro lavoro non abbiamo inteso condannare le singole persone che sono nel Movimento. Moltissime sono in buona fede e incapaci di controbattere gli errori contenuti nella catechesi loro impartita! Ma si può pensare che la stessa buona fede esista anche nei sacerdoti, che dopo i lunghi anni di studio della teologia hanno ricevuto, con il sacramento dell'Ordine, la missione di essere le guide del popolo di Dio, i Maestri della Verità per le anime affidate alle loro cure? Com'è possibile che questi ministri del Signore che per anni hanno partecipato a tutto lo svolgimento del cammino N.C., non siano riusciti a vedere o capire quello che tanti fedeli stanno da tempo dolorosamente constatando e denunziando?

Siamo lieti, nel constatare che alcune delle idee espresse in questo lavoro, pubblicato in edizione dattiloscritta fin dal 1990, siano condivise da molti illustri membri dell’Episcopato e del clero italiano. Ciò risulta dalla nota pastorale pubblicata dalla Conferenza Episcopale Pugliese (1/12/1996); dalla lettera di Mons. NONIS, Vescovo di Vicenza (18/12/1996); dai decreti del Card. SALDARINI, Arcivescovo di Torino (17/5/1995); dagli interventi del Card. PIOVANELLI (25/3/1995); da quelli del Vescovi di Palermo, Card. PAPPALARDO (22/2/1996); dal Vescovo di Foligno, Mons BERTOLDO (1/8/1995); dal Card. BIFFI di Bologna (31/3/1996). Inoltre è opportuno ricordare gli interventi dei Vescovi piemontesi nel 1981; del Vescovo di Brescia, Mons. FORESTI nel 1986; del Vescovo di Novara nell’agosto del 1987 e della Commissione Episcopale Umbra (2/3/1986).

Col nostro lavoro non intendiamo suggerire ai nostri pastori un particolare comportamento nei riguardi dei fratelli neocatecumenali. A norma del Vaticano II (P.O. 7) e delle leggi della Chiesa (C.J.C. c. 305), ci siamo proposti di dare, col nostro modesto lavoro, un contributo alla conoscenza della verità. Lo abbiamo fatto non guidati da preconcetti, ma stimolati da dolorose esperienze di molti che, invece di incontrare il Signore, si sono ritrovati, a causa del Movimento N.C., lontani da Cristo e dalla sua Chiesa.

Lo abbiamo fatto perché desideriamo che i nostri confratelli sacerdoti, per la missione ricevuta da Cristo, possano correggere gli errori che serpeggiano nel popolo di Dio. Lo abbiamo fatto anche per aiutare i carissimi fratelli neocatecumenali a crescere in una fede genuina ed in una carità autentica e universale. Solo così essi diventeranno quello che affermano già di essere, e che noi pure sinceramente desideriamo: un dono dello Spirito Santo per la Chiesa dei nostri tempi.

 

 

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Esperienza sul Cammino Neocatecumenale

 

ricevuta tramite internet

 

(autorizzata dal mittente)

 

 

Introduzione

L’esperienza è valutata alla luce di quegli aspetti che sono caratteristici dei gruppi settari. E’ una testimonianza soggettiva ma che cerca di descrivere metodo ed atteggiamenti tipici del Cammino Neocatecumenale basandosi su un’esperienza diretta e fatta “dal di dentro” da una persona che, con adesione piena e convinta, ha fatto parte per alcuni anni di una comunità neocatecumenale.

La Chiesa Cattolica  si è accorta che esiste un problema di compatibilità con i criteri che regolano il riconoscimento di un movimento ecclesiale, infatti non ha ancora approvato uno statuto per il Cammino, nonostante sia già stato presentato due volte.

Questo è un motivo di speranza, tale movimento, infatti, se davvero vuole costituire un arricchimento nel panorama ecclesiale cattolico, ha bisogno di spurgarsi di tutti quegli aspetti che lo rendono degno più di una setta che di una Chiesa universale e pluralista

 

Il Cammino Neocatecumenale

Come ormai è noto, l’intuizione originaria di Kiko e Carmen fu quella di rivisitare in forme nuove il catecumenato delle prime comunità cristiane attualizzandolo per una società ormai scristianizzata anche se anagraficamente popolata da cattolici. Attraverso un itinerario di riscoperta del proprio battesimo Kiko e Carmen si proposero di formare piccole comunità di persone che sperimentassero lo spirito della Chiesa primitiva. Il cammino di conversione si arricchiva di tappe e riti antichi, rivisitati e corretti, man mano che l’esperienza andava avanti negli anni, fino ad arrivare all’ itinerario di conversione ben programmato che costituisce l’attuale Cammino Neocatecumenale.

Generalmente si approda alle catechesi iniziali per invito personale o perché si è letto da qualche parte un cartello con su scritto: “Catechesi per adulti”. Niente lascia intendere che si tratti del Cammino Neocatecumenale, né ti viene spiegato in cosa consistono queste catechesi. Gli incontri hanno frequenza serale bisettimanale e sono distribuiti nell’arco di circa due mesi. Spesso sono persone sofferenti e in crisi che aderiscono e seguono queste riunioni dove non si può porre domande e viene detto di perseverare nella frequenza perché più avanti ci saranno tutte le risposte. Quando lo stato d’animo è alla disperata ricerca di qualche appiglio, in genere si è disposti ad ascoltare più di quanto non si farebbe in condizioni normali è quindi facile che si abbassino le difese e la soglia critica personale.

Durante le catechesi vengono toccati svariati argomenti ma ancora non viene spiegato cosa succederà “dopo”. Alla conclusione del ciclo c’è l’invito a trascorrere una “convivenza” di tre giorni in un albergo fuori zona, naturalmente la risposta agli interrogativi è : “vieni e vedi”. Allo scadere i tre giorni di incalzante catechesi, si perviene alla eucarestia neocatecumenale ricca di segni, parole ed  emozioni, infine ad ogni partecipante viene posta la domanda se vuole continuare o no nel cammino che da quel momento in poi avrà inizio, anche se non si sa bene in che consiste. Per scoprirlo bisognerà partecipare alla vita della nuova comunità nata con coloro che hanno perseverato nella frequenza alle catechesi ed hanno partecipato alla convivenza finale. Il nuovo gruppo si ritroverà da quel momento in poi due, anche tre volte la settimana e ogni quaranta giorni per un’intera giornata di ritiro. Viene così intrapreso un cammino di iniziazione cristiana che durerà più di venti anni e che in un crescendo di impegni arriverà a monopolizzare la vita dei suoi membri.

Specialmente nei primi tempi sono molte le domande che sorgono nella mente dei nuovi entrati, ma la parola d’ordine è sempre “ogni cosa a suo tempo”, infatti ognuno otterrà spiegazioni al momento opportuno, non un attimo prima non un attimo dopo. Le molte cose misteriose del Cammino non possono essere anticipate perché bisogna arrivare preparati ed accompagnati dai catechisti ad ogni nuovo gradino del cammino di salvezza. Così vengono eluse le molte curiosità del neofita e viene raggiunto un duplice scopo: da un lato si frena la spontanea sete di conoscenza al di fuori del controllo del gruppo, dall’altro si alimenta una continua attesa nelle varie tappe dove avvengono tali “rivelazioni”. Coltivando l’aspettativa nella mente dell’adepto si ingigantisce il desiderio di rivelazione e di riempimento emotivo che talvolta, per non rimanere delusi, va trovato a tutti i costi.

Una delle prime cose che viene detta è che non esisterebbe Cammino Neocatecumenale senza una “perfetta obbedienza ai catechisti”. I catechisti sono membri del Cammino che dopo alcuni anni vengono eletti dalla propria comunità per svolgere un ruolo di iniziazione e guida di altre comunità. Non vi è una particolare preparazione teologica o pastorale per diventare catechista, anzi, data l’alta incidenza di membri del Cammino che provengono da esperienze di ateismo si può dire che spesso capita di trovare catechisti che non hanno avuto neppure esperienze parrocchiali. Succede così che le loro conoscenze in campo teologico ed ecclesiale siano solo quelle mediate attraverso Cammino stesso.      

Una delle attività di primario interesse è quella di propagare il Cammino e far nascere nuove comunità, il che avviene, quando i parroci ed i vescovi lo permettono, almeno due volte all’anno con grande mobilitazione di equipes di catechisti che allestiscono gli incontri secondo lo schema descritto.

I contenuti delle catechesi sono il risultato di un collaudato copione di cui sono a conoscenza solo i catechisti stessi. Peraltro si lascia credere che tutte le catechesi siano frutto di una spontanea predicazione. A tale spontaneità è lasciato in effetti solo un piccolo spazio. Nelle comunità quasi nessuno è a conoscenza che gli incontri e le tappe del Cammino seguano gli appunti sbobinati di altri incontri tenuti dai leaders del movimento. Se qualcuno richiede la consultazione di tali scritti, difficilmente gli viene accordato il permesso in quanto sono pieni di errori teologici, eresie, frasi qualunquistiche che denotano anche scarsa cultura. Tali testi hanno il carattere di discorsi tenuti a gruppi ristretti e a porte chiuse, durante i quali i leaders del Cammino hanno affrontato argomenti e fatto affermazioni che difficilmente sottoscriverebbero pubblicamente o davanti al Magistero. Questi testi svelano la doppiezza di intenzioni con cui il movimento si presenta ufficialmente e dall’altro come è governato al suo interno.

Molte cose vengono radicalizzate a tal punto da fornire un’inevitabile lettura fondamentalistica delle Scritture. Anche se Kiko considera il Cammino un frutto del Concilio Vaticano II, viene spesso rifiutata una lettura storico-critica dei testi sacri. Nonostante la veste liturgica “avanguardistica” ed alcune intuizioni veramente interessanti, innovative e autenticamente cristiane, spesso i contenuti delle catechesi sono conditi di interpretazioni preconciliari, distorte e frutto di idee personalistiche e pensieri ossessivi dei leaders del movimento.

Va sottolineato che sono Kiko e Carmen che ogni anno stabiliscono in modo verticistico il tema della grande convivenza di inizio corso. La formidabile rete di comunicazione neocatecumenale fa sì che quello che viene detto oggi da Kiko a Roma, viene riportato, stasera stessa, dai cinquecento che hanno partecipato all’incontro ad altri 50.000 che a loro volta domani lo trasmetteranno solennemente ad altri fratelli. Nel giro di pochi giorni le oltre 13.000 comunità di tutto il mondo avranno ricevuto la parola di Kiko con un sistema tecnicamente molto simile a quello utilizzato nel campo del marketing.

Il senso di appartenenza di chi è testimone di questi incontri-evento è davvero grande. Si insiste molto nei contenuti sulla differenza bene-male, noi-gli altri, si usano frasi stereotipate ed un “codice” di parole evocative tipiche del Cammino. Vengono affrontati anche argomenti di attualità, ma il tutto è riportato senza che avvenga una riflessione e un’analisi approfondita, sebbene  se ne voglia dare l’impressione citando una certa letteratura, o facendo parlare pseudo-esperti che spesso, agli occhi di chi davvero ha conoscenze in materia, si rivelano apprendisti stregoni che buttano fumo negli occhi. Si vuole dare l’impressione di possedere già tutte le risposte anche se non avviene mai il confronto con un’interpretazione diversa.

 

Dal precatecumenato al Catecumenato

Arriva un momento nella vita della comunità che segna il passaggio dal precatecumenato al catecumenato vero e proprio, si dice che questa tappa “viene a mettere ordine nella tua vita” e che “la porta che si è aperta al primo passaggio adesso si chiude dietro di te con l’entrata nel catecumenato”. Scopri così che dopo aver trascorso mediamente tre, quattro anni in Cammino ancora non ancora avevi intrapreso il percorso di catecumeno!

Durante le convivenze lunghe che precedono i passaggi, tra i catechisti ed il resto del gruppo vige una netta separazione che impedisce il dialogo e favorisce la creazione di un atteggiamento reverenziale nei confronti dei catechisti stessi.

Questi riti avvengono rigorosamente a porte chiuse, neppure i membri delle altre comunità possono partecipare. Durante il secondo passaggio il clima di soggezione psicologica è notevole, gli incontri serali vanno avanti per mesi ed ogni membro è passato al vaglio da una equipe di sei catechisti davanti al resto della comunità. L’aspirante catecumeno viene invitato a sedersi su una sedia al centro della stanza, accanto, sulla sua destra c’è l’asta con la croce, davanti a lui sta la “commissione giudicante” e tutt’intorno in cerchio, il resto della comunità. Egli è tenuto a rispondere a domande anche molto intime che gli vengono rivolte su vari aspetti della sua vita in un clima spesso intimidatorio. I catechisti si atteggiano a confessori, spesso il loro ruolo sconfina in quello di direttori spirituali o improvvisati psicologi, senza peraltro che ne abbiano la minima preparazione o mandato ecclesiale. Essi giudicano la tua vita e la tua fede ritenendo di avere un’investitura divina per poter esprimere tale sentenza. Nonostante l’invito a “non giudicare” continuamente ripetuto in Cammino, ai catechisti è concessa facoltà di giudizio, tant’è che questo passaggio viene detto “scrutinio” è quindi un esame vero e proprio. Se la persona scrutinata non accetta di abbandonare comportamenti non conformi allo stile del Cammino gli viene detto che non ha fede e il suo destino  sarà quello di dover essere escluso dalla propria comunità per continuare il percorso nel gruppo che deve ancora arrivare al secondo passaggio. Naturalmente dopo aver condiviso anni, confidenze, gioie e dolori con una comunità, la prospettiva di dover cambiare e ricominciare da capo è spesso sentita come traumatica e percepita come una vera e propria punizione.

I comportamenti che vengono condannati dai catechisti, e che sono passibili di “bocciatura”, sono spesso quelli che la Chiesa stessa considera peccato, ma la differenza è che la Chiesa ha rispetto del personale cammino di conversione di una persona, dei tempi e della sensibilità individuali. Nel Cammino, a dispetto di un iniziale atteggiamento, che colpisce positivamente coloro che erano rimasti bruciati in passato da esperienze di Chiesa preconciliare, e che porta continuamente  proclamare ai catechisti: “non dovete fare nulla, sarà il Signore a convertirvi”, “non sforzatevi di essere buoni, diventerete solo dei farisei”, “il Signore vi ama per quello che siete, non dovete cambiare”, in seguito, al secondo passaggio, improvvisamente il registro cambia, si richiedono atti eroici e le mete spirituali più alte non vengono proposte, ma imposte. C’è da precisare però che vi è un certo ambito di peccati che viene ossessivamente indagato, mentre altri non ricadono neppure nel vocabolario neocatecumenale .

Dopo lo scrutinio i membri della comunità, ai quali al primo passaggio era già stato chiesto di rinunciare a tutti i propri averi, vengono invitati a versare il 10% delle loro entrate, da quel momento in poi, “per i poveri della comunità e della parrocchia”. Il denaro raccolto non è gestito in modo trasparente e democratico adducendo la giustificazione che “non deve sapere la tua destra cosa fa la tua sinistra”, solo i responsabili sanno che uso ne viene fatto. Talvolta loro stessi non possono controllare l’effettivo uso del denaro, come durante certe convivenze in cui si fa una grande raccolta per esempio, per “le famiglie di catechisti itineranti”, e il frutto della colletta viene mandato fuori dalla parrocchia. Quando ci sono queste grandi raccolte si arriva a cifre di diverse decine di milioni per volta, è un tripudio di emozioni per i presenti che restano colpiti da tanta “provvidenza divina”. Le persone che non hanno denaro con sé mettono nel sacco che viene fatto passare, anche gioielli, orologi, assegni o fogli di carta con su scritto ciò che si è pensato di donare (anche appartamenti e automobili). I catechisti poi fanno appello affinché il giorno successivo si compia subito ciò che si è promesso, perché non svanisca il momento favorevole della conversione che ha spinto a liberarsi dei beni materiali, e aggiungono spesso frasi del tipo: “Oggi il Signore è passato accanto a voi, chissà se sfrutterete questa occasione che potrebbe essere l’unica della vostra vita! Non è detto che il Signore ripassi nuovamente o se voi sarete ancora qui -(leggi “ sarete vivi”)- la prossima volta…”. Tutte queste richieste vengono fatte sulla base di parabole del Vangelo, proclamate e interpretate secondo l’ispirazione di Kiko, spesso in modo fondamentalistico e bizzarro. Le richieste vengono accompagnate molte volte dalla narrazione di episodi che fanno parte di una ricca aneddotica orale neocatecumenale tramandata durante le catechesi. Come la storia di quel fratello di comunità che incontrò per strada un barbone dopo una convivenza in cui era stato invitato a liberarsi dei suoi averi. Voleva fare una cospicua elemosina, ma indugiava perché era troppo indeciso su come fare quella donazione. Infine pensò che la cosa migliore fosse quella di dare tutto al barbone, ma quando si girò quell’uomo era sparito, lo cercò invano: quella persona si era misteriosamente volatilizzata. Il barbone era Gesù nelle vesti di un povero. Chissà se sarebbe ripassato…Quel fratello aveva perso la sua buona occasione perché “aveva pensato troppo”.

Nessuno comunque mette in dubbio le interpretazioni delle parabole, date sempre come conformi al Magistero ma presentate come rivelazioni per eletti. Tant’è che si è diffidati dal raccontare ciò che avviene durante i riti e i passaggi, e non è solo una questione di privacy.

 

Un Cammino di profeti

Coloro che conducono il Cammino sono i catechisti che, come già detto, non hanno nessuna particolare preparazione. Si invoca continuamente “la stoltezza della predicazione”, che significa che non c’è bisogno di essere teologi, intellettuali o professori per annunciare il Vangelo, ma quando gli annunciatori si fanno arbitri della vita dei catecumeni…il gioco si fa davvero pericoloso. Ai catechisti si deve obbedienza perfetta, vengono definiti come “angeli che il Signore ti ha messo accanto per convertirti”. C’è un’aura di riverenza nei loro confronti. Il modello aggressivo e sicuro di sé di Kiko fa scuola tra le equipes di tutto il mondo. Per fortuna non tutti sono così, ma il fatto che questi atteggiamenti siano ampiamente tollerati quando non addirittura incoraggiati fa pensare che i catechisti miti siano l’eccezione e gli altri la regola. Sembra quasi che un catechista più è autoritario e più la gente gli si sottomette. Non conoscono l’umiltà. La cosa peggiore è che questo atteggiamento fa leva su un aspetto abbastanza diffuso dell’animo umano che è la tendenza al masochismo. Una volta, ad una convivenza di giovani, una ragazza dichiarò tra le lacrime che un suo catechista l’aveva spiritualmente tartassata per lungo tempo, provocandole grandi sofferenze psicologiche. Quando l’uomo partì come missionario laico per …… lasciò un vuoto terribile in lei e solo allora si rese conto che aveva perso il suo “angelo custode”. Tutto questo ricorda molto un tipo di letteratura in cui vittima e carnefice sono legati da una sadica quanto malsana dipendenza: mai visto niente di simile nel Vangelo.

Questa dipendenza psicologica è molto pericolosa e può sfociare nel plagio vero e proprio. Molti catecumeni arrivano ai passaggi quando ormai l’individualità e la coscienza personale hanno subito un lento processo di sopimento. Il ricorso all’analisi razionale e al pensiero critico autonomo sono minimizzati se non etichettati in modo negativo come “tentazione demoniaca”. Quasi che fosse l’irrazionalità ed il continuo gettarsi nel buio la caratteristica del vero credente. Sono frequenti gli inviti a calpestare la coscienza personale per obbedire senza porre domande o addirittura di fare roghi di letture che potrebbero risvegliarla.

Nelle comunità si esercita il potere per mezzo di indicazioni dirette ma anche attraverso una sottile persuasione, facendo valere posizioni di autorità. L’esercizio dell’autorità quando degenera in autoritarismo può diventare molto pericoloso specialmente nel campo religioso, in quanto questo presunto potere che avrebbero alcuni “prescelti” verrebbe per avallo dell’Onnipotente. Coloro che detengono una posizione di autorità, oltre a fare di tutto per consolidarla, dichiarano di parlare in nome di Dio. Questo implica una notevole arroganza e vanità, distinguendo tra il ruolo di chi è profeta riconosciuto e di chi deve solo obbedire. In questa situazione i catecumeni che si affidano alla parola dei catechisti, mettono letteralmente la loro vita nelle mani di persone che con leggerezza talvolta emettono profezie aprendo a caso la Bibbia! Ci sono ormai troppi esempi di persone e famiglie che sono uscite distrutte da certe esperienze per aver dato credito a questi falsi profeti.

 

Perche’ e’ difficile uscirne

All’interno del Cammino talvolta trapelano certe critiche rivolte al movimento, o la notizia che alcuni parroci e vescovi siano contrari alle catechesi anche se spesso avviene riportando informazioni molto sommarie. Ma tale opposizione diventa motivo di orgoglio come per una persecuzione scaturita dal voler essere cristiani fino in fondo: “Il Cammino è osteggiato perché è radicale”, chi non lo accetta è “perché vuole essere un cristiano a metà” o perché “rifiuta il Concilio”.

La critica di assomigliare ad una setta non preoccupa le persone che fanno il Cammino perché una volta che ne fai parte:

1. E’ continuamente ribadita l’appartenenza alla Chiesa Cattolica e la simpatia e l’appoggio personale che il Papa ed il Vaticano nutrono per il Cammino.

2. Quando sei “dentro” la comunità sembra che di settario non ci sia niente, cose che prima sembravano strane diventano familiari, il linguaggio e gli atteggiamenti cambiano gradualmente, e senza e uno se ne renda conto finisce per assomigliare sempre più agli altri. Solo dopo un lungo distacco si può notare l’omologazione che era avvenuta con un lento processo di assimilazione frequentando la comunità.

Nel corso del Cammino è posta una grande enfasi su ciò che era della propria vita “prima” e ciò che è ne è stato “dopo” l’ingresso in comunità. Tutto prima era vissuto nel modo sbagliato, niente aveva senso. Da allora, al catecumeno, sembra di vivere ad un alto livello di consapevolezza. L’incontro con il Cammino diventa “l’evento” per eccellenza della propria vita. Ai vari passaggi questo viene continuamente ricordato e si stimola la riflessione in questo senso facendo domande su come si viveva e che valori si avevano prima della catechesi e cosa è cambiato dopo.

Talvolta le persone si convincono a disprezzare la loro vita precedente, si dichiarano grandi peccatori, non si ricordano di aver avuto anche prima un rapporto con Dio, con la preghiera ed anche un’autentica ricerca spirituale, che deve esserci stata se hanno risposto ad un invito di “Catechesi per adulti”. Ma in realtà tutto è teso a consolidare la convinzione che solo in Cammino si può trovare la vera vita e che tutto ciò che c’è stato prima era insapore.

C’è un sottile disprezzo nei confronti di sacerdoti,  religiosi e credenti che non fanno il Cammino, come se fossero preti di “serie B” o “cristiani della Domenica” che non vogliono convertirsi. Questo è un grande deterrente per i membri della comunità in crisi, essi infatti difficilmente si rivolgono a sacerdoti diocesani o altri religiosi dato che anno dopo anno gli è stata infusa una sorta di sfiducia nei loro confronti, oltre alla convinzione che l’unica chiesa sia quella neocatecumenale. L’aver vissuto d’altra parte un’esperienza così esclusiva li rende indifferenti a qualunque altra via spirituale, e non a caso chi pensa di lasciare la comunità ha l’impressione di abbandonare Dio e la Verità.

Un altro ostacolo alla possibilità di lasciare il Cammino è la teologia “kikiana” di cui sono imbevute le catechesi e che porta al dilagare del determinismo. Da un lato si verifica nel catecumeno un processo di deresponsabilizzazione di fronte a molte scelte di vita, dall’altro egli è preso da una crescente paura di allontanarsi dalla via di salvezza che era stata “tracciata per lui dall’eternità”. Secondo i catechisti chi è entrato in Cammino è stato chiamato a seguire questa via, essa costituisce la sua vocazione e non potrà tradirla. Chi arriva a ripudiare apertamente il Cammino dopo averlo seguito per anni, con motivazioni ben precise, è considerato un apostata e un Giuda. Con tali persone è scoraggiato qualunque contatto, spesso con indicazioni velate: “Lasciate che cuocia nel suo brodo”. Si spera che esse tornino all’ovile da sole, cosa che spesso accade, venendo a mancare quel luna park di emozioni che sono le celebrazioni liturgiche neocatecumenali, o il contatto con i “fratelli”. Spesso sono gli stessi “fratelli” che si astengono dall’andare a parlare con la persona che è uscita, forse per un qualche timore di confrontarsi. Comunque non viene in nessun caso incoraggiata l’assistenza amichevole ad un membro che ha lasciato il gruppo in stato di sofferenza o contrasto. La parabola del Buon Pastore è sistematicamente disattesa. La pecorella smarrita, come già detto, non va ricercata, ma va fatta cuocere nel brodo del suo orgoglio.

 

I Giovani

Un aspetto preoccupante del cammino è che gli adolescenti entrano in comunità verso i 12, 13 anni, dopo aver già trascorso molto tempo in Cammino durante l’infanzia al seguito dei genitori tra celebrazioni, eucaristie e convivenze.

I giovani sono indottrinati con gli stessi metodi, si pensa infatti che l’unica via di salvezza da un mondo contaminato dalle tentazioni del male sia quella di riuscire a condizionare positivamente il ragazzo quanto prima. Chi per primo colonizzerà la sua mente avrà la meglio. Si ingaggia una vera e propria battaglia contro il male. Invece di educare i giovani a sviluppare una coscienza critica gli si inocula lo spirito della dipendenza. Sarà il Cammino che di volta in volta dirà loro cosa è bene cosa è male, così affidandosi ancora una volta ai loro maestri, i ragazzi sapranno muoversi nel mondo sicuri di essere dalla parte giusta. C’è la profonda convinzione che se usi la testa, cadi nelle spire capziose della ragione, e la ragione non può che allontanarti da Dio.

Spesso i giovani finiscono per ripetere frasi e concetti masticati da altri e palesemente non digeriti. Esiste in loro una sincera ricerca, con l’entusiasmo che li contraddistingue, ma è impedito qualunque confronto con altre realtà giovanili ecclesiali in quanto il loro tempo finisce per essere totalmente assorbito e dedicato alla vita di comunità.

Anche quando ci sono stati incontri tra giovani, lo spazio del confronto era gestito in modo che, dopo una lunga e martellante catechesi, gli interventi avvenissero nella forma della “testimonianza” (rigorosamente edificante) e non di dialogo o riflessione critica. In una di queste occasioni fu detto dal catechista moderatore: “Portate la vostra testimonianza senza fare critiche. La nostra intenzione non è certo quella di fare un dibattito!”.

 

Le vocazioni

Un altro aspetto da sottolineare, è quello delle vocazioni religiose. Nel mondo ci sono 23 seminari neocatecumenali, bisognerebbe chiedersi, se davvero questo movimento vuole servire la Chiesa con la sua pioggia di vocazioni, perché non siano stati riempiti i seminari che languivano anziché crearne altri ex-novo.

Questo argomento richiederebbe una trattazione più ampia, ma limitiamoci a descrivere i modi in cui avviene la “chiamata”.

Alla fine dei grandi raduni, dove si trovano in assemblea centinaia e a volte migliaia di persone, dai catechisti viene fatto un chiaro e forte appello a chi si sente “chiamato” ad alzarsi in piedi. I ragazzi che si fanno avanti andranno in uno dei seminari “Redemptoris Mater”, le ragazze in un convento di clausura. E’ un momento di grande pathos e tensione emotiva. Le persone che si alzano faranno poi un percorso di discernimento, ma non è escluso che talvolta questa chiamata sia già stata “profetizzata” in precedenza, in sede di scrutinio. Le occasioni di suggestione non mancano durante il secondo passaggio quando ai catechisti capita di trovarsi di fronte a storie di vita che presentano fallimenti e difficoltà in campo sentimentale. E’ successo che durante questi scrutini alcuni giovani, a cui era stato suggerito un simile progetto di vita, siano caduti in stati di ansia e abbiano avuto paura a partecipare nuovamente ai grandi incontri dove sarebbe scoccata “l’ora della chiamata”.

Anche se possono esserci vocazioni genuine, ancora una volta c’è da chiedersi quanto queste chiamate siano ispirate a criteri di verità e prudenza, sempre necessaria in un campo così delicato come l’interiorità dell’animo umano, e quanto invece i modi con cui si

suscitano le vocazioni facciano leva su meccanismi si suggestione.

Conclusioni

“Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli”, nessuno ha il diritto di mettersi su un piedistallo e dire agli altri cosa fare della propria vita, ma forse è più facile arrendersi a degli uomini in carne ed ossa, abdicare alla propria capacità e fatica di cercare, avere risposte sicure e comodi rifugi dalle tempeste della vita che sanno tanto di ventre materno…certamente è più facile mettere a tacere ogni contrasto quando le direttive arrivano dall’alto, si crea illusoriamente l’unità ricorrendo alla coercizione. Più arduo è intraprendere la via del dialogo e della tolleranza.

Diversi modi di pensare costituiscono un arricchimento, invece in Cammino la diversità è un ostacolo, qualcosa da abbattere per omologarsi all’unica verità, legata all’unica interpretazione che Kiko ne dà. Se tu credi di possedere l’unica certezza, disprezzerai tutti gli altri e non ti metterai mai in discussione. Stiamo tornando alle guerre sante? In nome di Dio e della salvezza delle anime in cammino si violentano spiritualmente le persone con metodi da terrorismo religioso. Ci sono persone che dopo essere uscite hanno dovuto intraprendere un cammino di ricostruzione della propria individualità, anche facendosi aiutare da specialisti. E’ un prezzo troppo alto da pagare anche se si sbandierano i frutti di conversione per molte altre persone. Ma saranno una conversioni libere ed autentiche? Il catecumenato della Chiesa primitiva durava tre anni, possibile che Kiko lo faccia durare venti? Sembra un po’ troppo, anche per un popolo di dura cervice!

 

Il Cammino neocatecumenale:

 

frutto del concilio o “Setta Cattolica”?

 

di Vittoria Prisciandaro

 

Davide è stato battezzato la notte di Pasqua. «L'ho visto venire al mondo e quando è stato immerso nel fonte battesimale mi è sembrata una nuova nascita». È un papà ancora commosso, Alberto. Si tratta del quarto figlio, ma in questi casi non si può parlare di abitudine. Il signor Pellone ha 34 anni, una moglie, Luisa, di 31. Entrambi napole­tani, da 15 anni seguono il cammino neocatecume­nale e da quattro sono anche catechisti. «Sono sem­pre stato quello che si dice “un ragazzo di Chiesa”. Frequentavo la parrocchia, ma la mia era una fede molto vicina alla superstizione», racconta Alberto. Poi, un giorno, durante la Quaresima dell’83, l'incon­tro con “il Cammino”. Il parroco propone alla comu­nità di seguire un corso di catechesi per adulti. In tanti rispondono. «È stata la riscoperta di una litur­gia viva, di una Parola non più solo ascoltata, ma che parla alla vita, di un Dio padre che mi ama così come sono». Per Alberto è l'inizio di una vita nuova. Sposa Luisa, si trasferisce a Roma e, ironia della sor­te, trova lavoro come portiere in via della Concilia­zione 1, nel palazzo dell'Azione cattolica italiana.

Che effetto fa lavorare per la “concorrenza”? «Credo che un neocatecumenale, tempo permettendo, pos­sa far parte dell'Ac o degli scout senza problemi: il nostro è un cammino, infatti, non un'associazione. È un itinerario per riscoprire il proprio Battesimo, per rinascere in Cristo, proprio come Davide».

Alberto non ha dubbi sulla bontà del Cammino. E come lui sono tanti coloro che in ogni continente scommettono, facendo anche scelte di vita molto radi­cali, sulla realtà nata 35 anni fa nella baraccopoli di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid. Eppure oggi nessuna aggregazione ecclesiale, forse, è così con­troversa nella Chiesa cattolica quanto questa. E men­tre i detrattori del Cammino vivono quasi come un dovere morale la necessità di testi­moniare contro, dall'altro lato, a parte alcune eccezioni, si fa la scel­ta del silenzio stampa. Anche per questo servizio alcuni responsabi­li dei neocatecumeni interpellati hanno opposto una grossa resi­stenza a rilasciare dichiarazioni.

Alla fine il dottor Giampiero Donnini, referente italiano, aveva accettato di rilasciare un'intervi­sta via fax, che però non ha mai avuto risposta. «Il Cammino atten­de l'approvazione dello Statuto, deve stare attento a non fare passi falsi. È un momento delicato», os­serva una persona bene informa­ta. «Già più di una bozza è stata bocciata. In realtà i neocatecume­ni vorrebbero lasciare le cose così come sono, senza nessun tipo di struttura giuridica. Ma visto che l'ha chiesto il Papa...».

È un giovane artista spagnolo, Kiko Argüello che, a partire dalla sua intensa esperienza di conver­tito in età adulta, pensa alla proposta di un itinerario di fede centrato sulla riscoperta del Battesimo.

Nasce così “il Cammino”, un percorso dai tempi lunghi, anche venti anni, diviso in sei tappe, dall’”an­nuncio del Kerygma” alla “rinnovazione delle pro­messe battesimali”. Ben presto l'esperienza di Kiko, cui si aggiunge quella di Carmen Hernandez, giovane chimica, laureata in Teologia, si diffonde in tutto il mondo. Secondo gli ultimi dati le comunità esi­stenti, tra le 30 e le 50 persone ciascuna, sarebbero circa 15 mila in 4.500 parrocchie di 820 diocesi di­stribuite tra 101 nazioni dei cinque continenti.

Nel ‘90 una lettera di incoraggiamento del Pontefi­ce a monsignor Josef Cordes, incaricato ad personam per l'apostolato delle comunità neocatecumenali - («Accogliendo la richiesta rivoltami ricono­sco il Cammino neocatecumenale come un itinera­rio di formazione cattolica, valida per la società e i tempi odierni»), - viene accompagnata da una nota redazionale pubblicata su Acta Apostolicae Sedis: «L'intento del santo padre, nel riconoscere il Cam­mino neocatecumenale come valido itinerario di formazione cattolica, non è quello di dare indicazio­ni vincolanti agli ordinari del luogo, ma soltanto di incoraggiarli a considerare con attenzione le comu­nità neocatecumenali, lasciando tuttavia al giudizio degli stessi ordinari di agire secondo le esigenze pa­storali delle singole diocesi».

La nota non è casuale: il rapporto con la Chiesa loca­le è infatti il vero nodo del Cammino, come dimostrano alcuni episodi. Nel ‘96 in Inghil­terra monsignor Mervyn Alexan­der, vescovo di Clifton, fa partire un'inchiesta, in seguito alla quale si forma il Pash (Parishioners against a secret church) «formato da cattolici fedeli al Vaticano Il che temono l'influsso reazionario che viene da alcuni nuovi movi­menti come i Neocatecumenali», racconta uno dei promotori, Ronald Haynes. In Italia ex neocate­cumeni, preti e laici, organizzano convegni, raccontano le loro espe­rienze e pubblicano documenti su Internet, mentre diversi vescovi tentano in qualche modo di chiarire qual è il ruolo del Cammino nel­le diocesi: interviene monsignor Foresti, di Brescia; e poi i cardinali Pappalardo, Saldarini e Piovanelli che si soffermano in particolare sulla figura del parroco e sul suo coinvolgimento nel Cammino. La Conferenza episcopale pugliese scrive una lettera sottolineando il ruolo dei catechisti («in occasione degli scrutini per i vari passaggi devono astenersi dall'entrare nel campo più intimo delle coscienze»), il problema dell'eucaristia settimanale («le comunità ritengono indispensabi­le una celebrazione a esse riservate»), la veglia pasquale («uno dei punti di frizione più frequenti»).

Un equivoco di base, secondo alcuni, è che i neo­catecumeni rischiano di considerare “il Cammino” non una realtà tra le altre, ma “la” nuova Chiesa. «Il Cammino neocatecumenale va riconosciuto come un dono dello Spirito alla sua Chiesa, ma l'inseri­mento del Cammino nella vita delle parrocchie va seguito con grande attenzione», dice monsignor Pie­tro Nonis, vescovo di Vicenza, che nel novembre '96 indirizzò una lettera ai parroci e ai superiori reli­giosi di comunità in cui è presente il Cammino. Oggi, dichiara Nonis «la mia posizione rimane im­mutata. Nella nostra situazione, fatta di parroc­chie piccole, con un tessuto pastorale delicato e ricco di varie esperienze, quella del Cammino deve restare una della proposte di fede, e non diven­tare di fatto la scelta prevalente o addirittura tota­lizzante. Su questo tema non ho mai trovato l'op­posizione di principio dei responsabili del Cammi­no. Quello che poi accade nelle singole situazioni dipende in gran parte dall'equilibrio pastorale dei parroci e dalla loro capacità di procedere in armo­nia con la Chiesa diocesana e di sviluppare effetti­vamente la partecipazione di tutti, nella comunio­ne e nella corresponsabilità».

Abbiamo chiesto ai parroci di raccontare la loro esperienza. Numerosi sa­cerdoti interpellati «per opportunità», tacciono o preferiscono l'anonimato. Don Renato De Simone, di Napoli, parla invece senza problemi. A Santa Maria Apparente il Cammino è nato durante il terremoto dell'80. «Oggi abbiamo sei comunità che hanno prodotto vocazioni sacerdotali e operatori pastorali». Don Renato conviene che, «proprio perché questa esperienza arriva anche ai cosiddetti lontani, è reale il rischio che alcuni neoca­tecumeni abbiano una vi­sione un po' fanatica, tipi­ca del neofita».

Ma, secondo De Simone, tutto sta al parroco che «deve “perdere” il suo tempo con queste persone e non può lasciare che vadano avanti da sole». Ma non c'è il rischio che il parroco venga monopolizza­to da questa realtà? «Il rischio c'è, e sta al sacerdote riuscire a mantenere un certo equilibrio». Per quan­to riguarda l'accusa di una lettura fondamentalista della Bibbia. De Simone sostiene che «il metodo è quello dei Padri, la Parola che parla alla vita. E poi i catechisti vanno aiutati, il parroco deve accompa­gnarli nell'esegesi biblica. Perché all'inizio non sono particolarmente formati, ma durante il Cammino ac­quisiscono conoscenze di Teologia biblica, dogmati­ca, patristica». Insomma dopo vent'anni, nonostan­te alcuni limiti, don Renato non ha dubbi: «in quel personaggio stranissimo che è Kiko veramente pas­sa l'esperienza del Signore».

Di tutt'altro tenore il tono di un parroco della provincia di Roma, che preferisce l'anonimato «per non danneggiare ulteriormente i miei parrocchiani che stanno tentando di uscire dalla situazione dram­matica provocata dal Cammino».

Agli inizi degli anni '80, racconta, «cercavo una realtà che mi aiutasse a evangelizzare. Un altro par­roco mi magnificò il Cammino e così invitai alcuni catechisti». Dopo i primi due anni, però, scatta un campanello di allarme: «Stava nascendo una comu­nità parallela. I catechisti facevano affermazioni teo­logicamente sbagliate e soprattutto erano loro a ge­stire la vita dei singoli, intervenendo nella sfera inti­ma, senza nessun riguardo per la coscienza».

L'incontro con i libri di padre Enrico Zoffoli e don Gino Conti, due sacerdoti che «hanno speso tutte le loro energie a confutare le eresie del movimento neo­catecumenale», trasformano le impressioni del par­roco in accuse circostan­ziate. «C'è una manipola­zione delle persone che avviene lentamente, ma so­prattutto durante gli “scru­tini”, le confessioni pubbli­che dei peccati, il paga­mento della decima, che a un certo punto del Cammi­no i neocatecumeni sono tenuti a versare».

Un altro punto “scottan­te” è la segretezza dei testi di formazione. Si tratta delle registrazioni delle catechesi fatte da Kiko e Carmen negli anni '70. Es­sendo in mano a tutti i ca­techisti, in forma di datti­loscritto, i testi hanno ormai una segretezza relati­va, ma è pur vero che non sono reperibili per vie nor­mali. «Non le pubblicano perché si tratta di eresie, lontane dal catechismo della Chiesa cattolica», so­stiene la signora Maria Petralia, professoressa di filosofia a Gela, uscita dal Cammino dopo 20 anni. I neo­catecumeni sostengono invece che i testi servono a mo' di traccia e sono accessibili solo alle guide per­ché indicano un itinerario molto impegnativo: fatto conoscere anzitempo potrebbero spaventare le “ma­tricole”, le quali, invece, al momento giusto affronteranno tranquillamente ogni tappa.

Dove andrà a finire il Cammino neocatecumena­le? Per capirlo, dice qualcuno, bisogna avere pazien­za. E affidare alla sapienza millenaria di santa ma­dre Chiesa la definizione di una realtà che comun­que “lascia il segno”, suscitando forti passioni di segno opposto.

Vittoria Prisciandaro


TST_LC07 (pag. 169 del libro "Verità sul ...")


"Massoni e Neocatecumenali - Strane concordanze."

Molto reverendo

Padre Enrico Zoffoli

Piazza S. Giovanni in Laterano, 14

00184 ROMA RM

Reverendo Padre,

avendo letto alcuni suoi libri e i suoi articoli sul Segno del Soprannaturale a proposito della disputa sul movimento neocatecumenale, ritengo Lei la persona più adatta a cui sottoporre questo mio studio sulle analogie tra la massoneria e il movimento neocatecumenale.

Dette analogie sono molteplici per cui ritengo che vadano valutate da persona competente. Essendo il mio pensiero di nessun valore, credo che questo lavoro la possa interessare, ma qualora ritenesse le mie argomentazioni sbagliate, non deve darsene preoccupazione alcuna e può cestinare il tutto. Se invece la cosa le sembra doverosa di approfondimento, la prego di farlo nell'interesse della Verità e della Chiesa Cattolica.

La prego di scusare la forma, ma tra me e la penna non c'è mai stata troppa simpatia.

Assicurandole che in famiglia continueremo a pregare per Lei e per la Chiesa, La saluto filialmente in Cristo

(lettera firmata)

Massoni e Neocatecumenali

 

strane concordanze tra i principi dei primi e

 

i comportamenti dei secondi

 

Rapporti tra Massoneria e Chiesa Cattolica

 

Sin dalla sua fondazione, nel diciottesimo secolo, i rapporti tra la massoneria e la Chiesa Cattolica non sono mai stati buoni. Questo malgrado i ripetuti tentativi di infiltrazione avvenuti in questi secoli, che sempre sono stati respinti da uomini santi e lungimiranti tra cui spicca Papa Clemente VII che nel 1738 lanciò la scomunica verso chiunque si fosse iscritto alle logge.

Scomunica che, nonostante quello che è stato detto, non è mai stata abrogata, infatti, la dichiarazione del 17 febbraio 1981, della Congregazione per la Dottrina della Fede a proposito del canone 2335 del Codice di Diritto Canonico, ha ribadito quanto già aveva espresso nel luglio 1974, ossia: il divieto ai cattolici, sotto pena di scomunica, di iscriversi alle associazioni massoniche e ad altre simili.

Perché la Chiesa Cattolica condanna la Massoneria?

Meglio di tante spiegazioni penso che siano le parole di Papa Leone XIII nella sua Enciclica del 19 marzo 1902 dove scrive:

"Una setta tenebrosa, che la società porta da molto tempo nei suoi fianchi come un germe mortale, ne contamina il benessere, la fecondità, la vita. . . Lo scopo è di esercitare una sovranità occulta sulla società riconosciuta: la sua ragione di essere consiste interamente nel fare la guerra a Dio e alla Chiesa. Non c'è bisogno di nominarla, perché tutti hanno riconosciuto a tali segni che è la Framassoneria, della quale parlammo esplicitamente nell'Enciclica "Humanum genus" del 23 aprile 1884.

Abbracciando nelle sue immense reti la quasi totalità delle nazioni e riallacciandosi ad altre sètte che essa fa muovere per mezzo di fili nascosti, dapprima attirando e ritenendo poi i suoi affiliati con l'apparato di vantaggi che essa loro procura, piegando i governi ai suoi disegni, ora con promesse ora con minacce, questa setta segreta è arrivata a infìltrarsi in tutte le classi della società.

Essa forma come uno stato invisibile e irresponsabile nello stato legittimo.. . Mentre professa a parole il rispetto dell'autorità e della stessa religione, il suo scopo supremo, come i suoi propri statuti ne fanno fede, è lo sterminio della sovranità e del sacerdozio".

Appare chiaro, dunque perché le somme autorità della Chiesa, e tante altre anime sante, abbiano sempre lottato con tutte le forze contro la Massoneria. Però, come spesso succede, chi non riesce ad entrare per la porta, tenta per la finestra.


Strane analogie

Esistono documenti, che mostrano alcuni progetti per sottomettere ed annientare la Chiesa Romana. Detti documenti mostrano i punti da colpire e i modi per farlo, eliminando il rispetto per il Sacro, per il Sacerdozio, per i Dogmi e il culto dei Santi e di Maria Santissima.

Stranamente nelle Comunità Neocatecumenali, si insegna tutto ciò che riconduce ai fini della Massoneria, cercando di eliminare appunto il culto Mariano, dei Santi, il rispetto per tutto ciò che è Sacro, per il Sacerdozio e per i dogmi di Fede.

Il Papa Paolo VI nell'omelia "Resistite fortes in fide" del 29 giugno 1972, chiedendo di essere ascoltato come se parlasse S. Pietro stesso, disse di avere la sensazione che "da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio". E specifica che cosa intende per "fumo di satana", cioè "il dubbio, l'incertezza, la problematica, l'inquietudine, l'insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta" che viene, per "chiedere a lui se ha la formula della vera vita.. . E' entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce. " Ed ancora: "Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta, invece, una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza".

Queste parole sembrano rispecchiare l'amarezza del Santo Padre per le "avventure" postconciliari di alcuni "profeti" tra cui possiamo inserire Kiko.

La Gnosi

Le eresie gnostiche sono state, dall'epoca patristica, tra i più ricorrenti nemici della Chiesa, ma, malgrado i ripetuti attacchi, non hanno mai potuto scalfire l'edificio costruito da Cristo.

Esse si basano sulla "conoscenza" (gnosi, appunto) che è riservata ad un ristretto numero di persone (gli "iniziati" o "illuminati" a seconda delle varie sètte), mentre gli altri (gli "affiliati") devono essere all'oscuro di tutto, e non avere la minima idea di dove li porterà il loro cammino.

Molte persone si affiliano alla Massoneria senza avere la benché minima idea di dove questa affiliazione possa portarli, magari per l’impronta vagamente filantropica di alcune logge, o magari anche per accrescere il loro potere personale nella società e aumentare così i propri capitali, non immaginando certo di diventare veri e propri schiavi di satana, cosa che solo alcuni arriveranno a capire, salendo la lunga scala dell'iniziazione.

Quando uno entra nel movimento Neocatecumenale deve dimenticare le domande. Per lungo tempo non è permesso di porne, ed anche quando arriva il momento di chiedere qualcosa, le risposte sono evasive, a meno che non riguardino il futuro del "cammino" perché allora è tutto top secret. Il sapere è tutto nelle mani dei "catechisti" che non sono persone che hanno fatto studi particolari di teologia, liturgia, patristica od altro, ma sono solo persone che hanno fatto già almeno cinque-sei anni di cammino e che sono stati indottrinati da altri prima di loro. Loro stessi non hanno idea di quello che verrà loro insegnato nel prossimi anni.

Il migliore allievo per i Neocatecumenali è colui che è a digiuno di nozioni di catechismo (quello vero!), di teologia e di sacre scritture in modo da potergli insegnare tutto quello che pare a loro.

Nostro Signore, invece, nel Suo insegnamento non ha mai nascosto niente a nessuno, additando subito la strada da percorrere e permettendo tutte le domande possibili.

Il fatto stesso che nel Movimento Neocatecumenale ci sia questa scala gerarchica "gnostica", alla luce della storia della Chiesa, fa dubitare molto sulla bontà del risultato finale.

Attacco alla Chiesa

Da varie fonti massoniche sono filtrati documenti che attestano come da molti anni siano in corso piani per l’annientamento della Chiesa, operando dal suo interno (cfr. "La faccia nascosta della storia" di P. Mantero, Ed. Segno).

Esaminiamo i vari punti che interessano la nostra ricerca:

1. La svalutazione e il deprezzamento della SS. Eucarestia e conseguentemente la desacralizzazione e profanazione del culto cattolico e dei luoghi di culto.

2. L'eliminazione della Mariologia dalla teologia cattolica ed il disprezzo della profezia postbiblica, specialmente quella Mariana.

3. Eliminazione del sacerdozio ministeriale e di tutto ciò che ha a che fare col sacro.

4. Uso del denaro per accrescere il consenso.

Ora esaminiamo ad uno ad uno questi punti confrontandoli con la catechesi neocatecumenale tratta da "gli orientamenti alle équipes di catechisti" di Kiko Arguelo, come riportato da P. Enrico Zoffoli nel suo volumetto "Il neocatecumenato della Chiesa Cattolica":

1. La svalutazione e il deprezzamento del culto della SS. Eucarestia e conseguentemente la desacralizzazione e profanazione del culto cattolico e dei luoghi di culto.

Per i Neocatecumenali la Messa non è un vero "sacrificio", il perpetuarsi del sacrificio della Croce, ma soltanto un banchetto comunitario che celebra la potenza salvifica di Cristo risorto che è bene celebrare non in chiese consacrate, ma in stanze qualsiasi proprio per far risaltare che è una cena, e se si celebra in chiesa per ragioni di spazio (con più comunità riunite) l'altare (cioè, la tavola) va tolto dal presbiterio e portato al centro della chiesa.

Il pane consacrato non si muta nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, non avendo altra funzione che quella di simboleggiare la presenza spirituale di Lui che, risorto, tutti trascina sul suo carro di fuoco.. .

Negato il Sacrificio Eucaristico e la transustanziazione, il "pane consacrato" (con tutti i suoi resti e frammenti) esclude la reale presenza di Cristo, perciò abbiamo che nelle Messe celebrate da sacerdoti Neocatecumenali non viene fatta la purificazione del vasi in modo corretto (di cui io sono stato più volte testimone oculare), non si fa caso se dei frammenti cadono a terra (una volta si chiamava sacrilegio. . . ) e viene negato ogni culto al SS. Sacramento. (Nella mia parrocchia i giovani non sanno nemmeno cosa siano le "Quarant'ore" od una adorazione eucaristica seria, essendo il culto eucaristico limitato ad una esposizione del Santissimo per una ventina di minuti il primo venerdì del mese, mantenuta per accontentare le "vecchiette" che ormai sono abituate a questi riti!).

Una volta uno che era entrato in una comunità da poco, vedendo del frammenti abbandonati in un calice lo fece notare e gli fu risposto:

-Se credi ancora a queste cose, questa spiritualità non fa per te!-

A proposito della profanazione del luoghi di culto, nella nostra parrocchia, dopo celebrazioni tenute dai neocatecumenali in chiesa, qui, a volte, sono state trovate cicche di sigaretta sul pavimento.

2. L'eliminazione della Mariologia dalla teologia cattolica ed il disprezzo della profezia postbiblica, in special modo di quella Mariana. Parlare della Madonna al neocatecumenali è come parlare della fatina dal capelli turchini, una favola o poco più. Non esiste la figura della Corredentrice e della Madre della Chiesa; dire il Rosario è da mentecatti o giù di lì.

L'unica effigie mariana ammessa è una icona di vago sapore bizantino, chiamata "Madonna di Kiko".

Unico Ravvicinamento ci fu durante l'Anno Mariano, ma più per farsi vedere dal Papa che per un convincimento reale, infatti successivamente i neocatecumenali si sono interessati pochissimo della figura di Maria Santissima e di tutta la Mariologia.

Ovviamente non si può parlare ai Neocatecumenali di Medjugorie o di cose simili, ma anche a Lourdes, Fatima ecc. viene negata ogni importanza.

3. Eliminazione del sacerdozio ministeriale e di tutto ciò che ha a che fare col sacro.

L'eliminazione del sacrificio comporta la soppressione del sacerdozio ministeriale, non dovendosi riconoscere altro sacerdozio se non quello di Cristo: l'Eucarestia è celebrata dalla comunità del credenti, tutti indistintamente partecipi di quell'unico sacerdozio.. . .

L'esclusione del sacerdozio ministeriale porta al crollo della Gerarchia Ecclesiastica, ossia al rifiuto dell'Ordine Sacro che la fonda, soppresso il quale, la Chiesa, come Società visibile e gerarchica, non ha più alcuna ragione di essere.

Infatti nel Neocatecumenato tutta l'autorità e tutto il sapere è nelle mani dei catechisti al quali i sacerdoti devono obbedienza. Quante volte ho visto sacerdoti trattati in malo modo senza il minimo rispetto per il loro stato!

I neocatecumenali poi non si inginocchiano mai, né davanti al Santissimo, né alla Consacrazione, assumono atteggiamento irriverenti durante le celebrazioni (la posizione classica in chiesa è con le gambe accavallate ed i due gomiti appoggiati sullo schienale, possibilmente in posizione obliqua rispetto alla panca). Una volta ho visto un ministro straordinario dell'Eucarestia (neocatecumenale) che andava a portare il Santissimo ad un ammalato fumando: avendoglielo fatto notare mi rispose: - Che ne sai tu che anche Gesù non fumasse?- Preferisco non fare commenti.

4. Uso del denaro per accrescere il consenso.

I Neocatecumenali dispongono di grosse somme di denaro che vengono elargite dal loro adepti. Con quale "liberalità" ci sarebbe molto da discutere: ho saputo di una suora alla quale fu tolto l'orologio perché si "liberasse dai beni" non avendo altro da dare a causa del voto di povertà e perciò non possedendo niente. Arrivati ad un certo punto del cammino devono dare le "decime" non sapendo ovviamente dove vanno a finire: nessuno presenta consuntivi. In gran parte vengono date in elemosina alle parrocchie ed alle diocesi che li ospitano al fine di accrescere il consenso della Gerarchia nei loro confronti.

Un altro aspetto del cammino neocatecumenale che trova riscontro nello statuto massone è il comportamento verso il prossimo.

Come nel giuramento massone è fatto obbligo di aiutare i "fratelli" della stessa loggia, anche per i neocatecumenali c'è l'obbligo del mutuo soccorso all'interno della propria comunità ed eventualmente delle altre comunità, mentre non bisogna aiutare chi non appartiene al movimento.

La giustificazione di un tale comportamento si riscontra nell'insegnamento secondo il quale la salvezza si ottiene non per le opere ma esclusivamente accettando la Resurrezione del Signore, tesi tipicamente protestante e chiaramente eretica.

Conclusioni

Come abbiamo potuto osservare i punti di contatto tra la massoneria e il movimento neocatecumenale sono davvero moltissimi, tutto lascerebbe pensare che i neocatecumenali siano stati partoriti dalla massoneria come una bomba a tempo da far scoppiare all’interno della Chiesa cattolica.

Certo queste sono supposizioni, mancando qualsiasi prova per supportare questa allarmante ipotesi, però sembra davvero strano che essendo nati da "madri" diverse vi siano tante analogie tra i principi e gli scopi della massoneria e le catechesi e i comportamenti dei neocatecumenali.

Non sta a me dare giudizi su tutto questo, ma voglio lanciare solo un grido di allarme affinché chi ha il carisma di vegliare sull'ortodossia della Fede analizzi e svisceri a fondo questo problema.

2 febbraio 1994, Festa della presentazione di Gesù al Tempio.


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